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Monumento a Lauro Rossi in piazza Lauro Rossi a Macerata. Ph: Lucia Paciaroni
Sono passata molte volte per quella piazza, piccolissima, in pieno centro storico. Il noto compositore ed io ci siamo sempre guardati di sfuggita. Lui, immobile, collocato al centro di quella piazzetta nascosta, con il suo busto in bronzo su di un basamento in pietra, ed io tutti i giorni a passargli di fronte con passo veloce.
Non mi ero mai fermata in piazza Lauro Rossi, a Macerata, in quel luogo intitolato al musicista maceratese al quale è dedicato anche il teatro principale della città.
La storia che mi ha portato in quel posto, però, non parte da Lauro Rossi, ma da chi ha realizzato il monumento che lo rappresenta, lo scultore maceratese Carlo Panati.
Lo scorso 28 ottobre, infatti, l’Università degli Studi di Macerata ha organizzato un interessante convegno presso l’antica biblioteca rivolto agli studenti e dedicato proprio alla figura e all’opera di Panati (1850-1935). Sono intervenuti il professore Giuseppe Rivetti, Presidente del Corso di Laurea in Teorie, Culture e Tecniche per il Servizio Sociale, l’archeologa Margherita Corrado e lo scultore Elio Malena.
Palazzo Filoni: particolare dell'altana. || Foto di Simona Pezzotta
Lo scorso autunno ebbi il piacere di visitare la piccola cittadina di Servigliano con una guida d’eccezione, il prof. Angelo Paci. Lo incontrai per caso, nel mio girovagare per il piccolo borgo in compagnia di Luigi Bracalenti, proprietario del b&b Angela Garden. Ed è proprio Luigi che devo ringraziare se il professore accettò, senza esitazione alcuna, di farmi da Cicerone per l’intera mattinata.
Il profondo amore che lega il professore alla natia Servigliano e la grande generosità intellettuale è ciò che colpisce immediatamente. Sarei stata ore ad ascoltarlo parlare di linguistica, di come il passaggio dei vari popoli abbia influenzato la nostra lingua, lasciando tracce evidenti anche nel dialetto … ma questa è tutta un’altra storia!
Palazzo Filoni: finestre del piano nobile. || Foto di Simona Pezzotta
Torniamo alla visita del borgo. Il professore, con una dovizia di particolari mai sperata, mi ha accompagnata, angolo per angolo, strada per strada, alla scoperta dell’antico castello, Castel Clementino, facendomi compiere un vero salto nel passato, un passato dagli avvincenti ed inattesi tratti.
Questa pagina sarà dedicata interamente a Sant'Elpidio a Mare e l'aggiornerò di volta in volta, come mi capita sotto mano qualche bella immagine antica della città. Lo stesso farò per l'altro articolo già precedentemente pubblicato: Ieri e Oggi/1: Porto Sant'Elpidio.
Sant'Elpidio a Mare, Corso Baccio, 1908-2014 [Edizioni I. Bozzoni - Nicola Pezzotta] L'antico nucleo di Sant'Elpidio a Mare sembra risalire al 1200, quando si attesta anche il periodo di maggiore prosperità della città. Città che, l'8 settembre 1377 andò quasi completamente distrutta dalle truppe mercenarie di Rinaldo da Monteverde, assoldate dalla vicina e potente Fermo. L'attuale impianto del Centro Storico è stato edificato in epoche successive a questa data dai superstiti dell'eccidio e soprattutto grazie agli aiuti economici elargiti dallo Stato della Chiesa (di cui Sant'Elpidio fece parte fino all'Unità d'Italia).
La torre civica in piazza della Libertà a Macerata
Quella che sto per raccontarvi è una storia che ci riporta al 1500, in una piazza di una città, dove non si discuteva ancora di telecamere si, telecamere no, di pedonalizzazione o di parcheggi.
La piazza era un luogo di incontro, un posto dove passeggiare, incontrarsi e parlare. Una piazza dove, allo scoccare di ogni ora, si stava con naso all’insù per ammirare l’orologio realizzato dai fratelli Ranieri, maestri di grande fama.
La famiglia Ranieri, infatti, era molto famosa per l’esecuzione e la lavorazione di orologi meccanici, e ad essa va il merito di aver introdotto in Italia automi semimoventi a decorazione degli orologi civici.
Le abili ed esperte mani di questi maestri orologiai avevano realizzato l’orologio di piazza San Marco a Venezia e quelli di Ferrara, Reggio e della città di cui vi sto parlando, Macerata. Qui, in piazza della Libertà, lo avevano costruito con cinque figure lignee raffiguranti la Madonna col Bambino, i Re Magi ed un Angelo.
Non capita spesso di fare i turisti a casa propria, o almeno, a me è capitato tardi, ma non troppo per non recuperare. E così ho iniziato a stare con il naso all’insù, a sbirciare tra i vicoli, a fermarmi davanti ad un palazzo. Ho iniziato a visitare la mia città.
La mia Macerata è timida, la sua bellezza si scopre lentamente, e diventa dirompente subito dopo un viale o oltrepassando un arco. Oppure decidendo di entrare in un palazzo, anch’esso pronto a svelarti sfacciatamente la sua bellezza una volta superato l’ingresso.
Sala dell'Eneide, Palazzo Buonaccorsi, Macerata. Ph: Lucia Paciaroni.
Un palazzo come il settecentesco Buonaccorsi, alle porte del centro storico, proprietà del Comune dal 1967 e sede dell’Accademia di Belle Arti fino al 1997. Oggi ospita il Museo della Carrozza (aperto a dicembre 2009) e la raccolta d’arte antica e moderna.
Con questa rubrica vorrei farvi vedere come sono cambiate le nostre città. Spero vi piaccia!
Ieri e Oggi: Porto Sant'Elpidio. Corso Umberto I. 2013-1945. Ph: Nicola Pezzotta
Porto Sant'Elpidio, Corso Umberto I. 2013-1945. Nella foto: Oggi l'edificio che vedete in muratura sulla destra è stato sostituito dal nuovo palazzo del Comune. Che bello pensare di andare liberamente in bici sulla Strada Statale senza preoccuparsi del traffico!
Fano, Chiesa di San Pietro in Valle. Ph: Fabiola Cogliandro
Percorrendo via Nolfi, uno dei cardini più importanti dell’antica Fanum Fortunae, incontriamo la seicentesca chiesa di San Pietro in Valle, la cui facciata incompleta in laterizio e il portale dalle forme semplici e spoglie, nulla lasciano intuire sulla sfavillante ricchezza decorativa dell’interno. Ci induce invece subito a pensarlo l’identità della committenza, la Congregazione dell’Oratorio dei Padri Filippini fondata a Roma nel 1575, che ha trovato nella figura del nobile fanese Girolamo Gabrielli (1561-1629), primo fondatore e guida della Congregazione a Fano, l’artefice della costruzione dell’edificio nel primo decennio del Seicento. Le chiese filippine, infatti, si caratterizzano per una profusione nell’utilizzo di marmi policromi, in una combinazione di dipinti, affreschi e decorazione plastica e scultorea di cui la nostra non è da meno. Risuonano pertanto ancora vive ed eloquenti le parole dello storico ed abate Luigi Lanzi (gesuita e archeologo originario di Treia in provincia di Macerata) che la definì “galleria di rare pitture” nel suo volume Storia pittorica della Italia edito sul finire del Settecento. Perché certamente rare e prestigiose dovettero esserlo - e lo sono ancora - agli occhi di nobili, prelati e semplici cittadini, oltre gli affreschi che tutt’ora si ammirano, le tele che ornavano gli altari delle cappelle gentilizie realizzate da nomi di primissimo piano nel panorama artistico Sei - Settecentesco, quali Guido Reni, Giovanni Francesco Barbieri detto Guercino, Simone Cantarini, Giovanni Francesco Guerrieri.
Terra di passaggio e di confine. Culla di civiltà. Luoghi di prosperità, ma anche teatro di cruenti battaglie. Luoghi di morte e di rinascita. Tutto questo sono i “Piani di Colfiorito”.
Parco Regionale delle Paludi di Colfiorito | Ph: Nicola Pezzotta
Ci troviamo al confine tra le Marche e l’Umbria: una parte è sotto il comune di Serravalle di Chienti (Marche) e l’altra sotto il comune di Foligno (Umbria). Quella che oggi possiamo ammirare è una bellissima serie di altopiani di circa 9.000 ettari complessivi, in parte coltivati, che durante la stagione primaverile si trasforma in una distesa infinita di colori. Non è altro che lo sbocciare dei fiori che tappezzano i campi coltivati e non. Anche per questo motivo è detta la piccola “Castelluccio” (da Castelluccio di Norcia, località molto più nota, situata nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini).
Ex campo di concentramento di Girola di Fermo, Fermo, Marche. Entrata. Ph: Nicola Pezzotta
“Nella pratica quotidiana dei campi di sterminio trovano la loro realizzazione l’odio e il disprezzo diffusi dalla propaganda nazista. Qui non c’era solo la morte, ma una folla di dettagli maniaci e simbolici, tutti tesi a dimostrare e confermare che gli ebrei, e gli zingari, e gli slavi, sono bestiame, strame, immondezza. Si ricordi il tatuaggio […] che imponeva agli uomini il marchio che si usa per i buoi; il viaggio in carri bestiame, mai aperti, in modo da costringere i deportati a giacere per giorni nelle proprie lordure; il numero di matricola in sostituzione del nome; […] l’empio sfruttamento dei cadaveri, trattati come una qualsiasi anonima materia prima, da cui si ricavavano l’oro dai denti, i capelli come materiale tessile, le ceneri come fertilizzanti agricoli; gli uomini e le donne degradati a cavie, su cui sperimentare medicinali per poi sopprimerli”