Le copiose nevicate che hanno caratterizzato l’inverno 2012, trasformando interi paesaggi e vestendoli di luce nuova, sembrano oramai appartenere al passato. Eppure una domanda continua a frullarmi in testa: i nostri nonni come superavano i lunghi e rigidi inverni?
IL CAMINO
Camino in una vecchia abitazione | fonte: internet
Il camino ha rappresentato nei tempi passati la principale fonte di riscaldamento, usata tanto in abitazioni modeste quanto in quelle più agiate. Questa sua fondamentale funzione, tuttavia, non esauriva completamente il ruolo svolto nelle dimore, in special modo in quelle rurali e particolarmente in quelle rurali marchigiane. Nelle case coloniche, infatti, il camino costituiva anche il luogo deputato alla cottura dei cibi. Rappresentava, in inverno, il luogo privilegiato per l’incontro, la socializzazione. Era intorno al fuoco del camino che si riposava la famiglia. Era intorno al fuoco del camino che si recitava il rosario, si chiacchierava, si raccontavano storie, spesso in compagnia dei vicini. Era intorno al fuoco del camino che le donne rammendavano e, insieme agli uomini, intrecciavano la paglia.
Il camino dunque costituiva il cuore della vita domestica, familiare, sociale. Questa centralità si rifletteva anche sul piano costruttivo, strutturale, spaziale. Non era un caso, infatti, se in gran parte delle case coloniche marchigiane il camino occupava la parete più lunga della stanza più grande ed importante dell’abitazione, ovvero la cucina. Era da questa stanza, direttamente servita dalla scala interna o esterna, che si accedeva a tutti gli altri ambienti, dalle camere da letto ai vani usati come depositi. “… Si potrebbe dire” così Gianni Volpe sintetizza l’evoluzione dell’organizzazione spaziale delle dimore rurali marchigiane “che il fuoco del camino è stato senz’altro il punto di partenza, seguito dalla cucina, quindi dalla casa vera e propria …”
Ma com’era fatto? “Era monumentale, con la grande e slanciata cappa al centro della parete più lunga, l’immancabile base, l’arola orola, rialzata un palmo da terra, la catena per il caldaio e il treppiedi in ferro per le pentole e i tegamini. La mensola in legno di appoggio della cappa e sulla quale poggiano gli oggetti e gli utensili più usati (dal portasale al mortaio, dalla lucerna al pesante ferro da stiro, dalla bugia di latta smaltata o di terracotta al macinino) viene spesso rifinita con un telo in modo da garantire il giusto tiraggio dei fumi. Una nicchia ricavata nello spessore murario dove tenere a portata di mano i fiammiferi chiude il quadretto tipico di quest’angolo domestico” così Gianni Volpe in “Storia dell’alimentazione della cultura gastronomica e dell’arte conviviale nelle Marche”, in una viva descrizione capace di far riaffiorare alla memoria ricordi d’infanzia.
GLI SCALDINI
E’ bene sottolineare che spesso il camino costituiva l’unica fonte di riscaldamento presente nelle abitazioni, per di più posto in una sola stanza. Va aggiunto poi che l’ampiezza di calore scaturita dalla combustione non era molto vasta – nulla a che vedere con i moderni impianti – e che gli infissi si lasciavano attraversare, indisturbati, dal soffio del vento. Si capisce allora come le stanze fossero molto fredde e come dal bisogno di scaldarsi siano scaturiti tutta una serie di oggetti, strumenti e stratagemmi utili a superare i rigidi inverni.
Lo scaldino ne è un esempio.
Scaldino in alluminio. Abitazione dei miei nonni, vera miniera di oggetti in uso … qualche tempo fa | © Nicola Pezzotta 2011. All rights reserved.
Si trattava di un piccolo secchio in alluminio o rame, fornito di manico fisso che ne permetteva un agevole trasporto. Il secchio così fatto, veniva riempito di brace e cenere seguendo un ordine ben preciso: in basso uno strato di cenere, poi la brace ed infine, a coprire il tutto,un altro strato di cenere. Una sequenzialità che aveva un duplice intento, preservare le mani da spiacevoli scottature e prolungare la durata della brace.
In primo piano le mani di nonna Rosetta: così si teneva lo scaldino! | © Nicola Pezzotta 2011. All rights reserved.
Grazie allo scaldino, quindi, erano assicurate mani calde in qualunque parte della casa ci si spostasse.
E per i piedi?
Un esempio di copriscaldino in legno | fonte: internet
Il senso pratico e l’arguzia contadina non avevano di certo dimenticato questa parte del corpo. Esisteva una curiosa struttura in legno, poco più grande dello scaldino, la cui forma ricordava un piccolo sgabello con un piano grigliato costituito da sottili assi di legno. Era il copriscaldino. La struttura lignea, opportunamente posta sopra lo scaldino a mo’ di cappuccio (il manico dello scaldino rimaneva bloccato tra le barre della griglia), consentiva l’appoggio dei piedi ed il loro riscaldamento grazie al calore che dallo scaldino risaliva verso il piano grigliato. Una soluzione ottimale per quanti svolgevano attività sedentarie.
GLI SCALDALETTO
Il momento del riposo notturno merita una trattazione separata per la molteplicità di soluzioni ed espedienti adottati per non dormire in un letto freddo.
Il mattone in terracotta
Mattone pieno in terracotta | fonte: internet
Il metodo più elementare e al tempo stesso più originale, se guardato con gli occhi dell’uomo moderno, si avvaleva semplicemente di un mattone pieno in terracotta. Questo, posto nel focolare, vicino alla fiamma, aveva la capacità di assorbire una considerevole quantità di calore. Prontamente prelevato, veniva avvolto in un panno di lana e collocato tra le lenzuola, poco prima di coricarsi. Spostandolo di volta in volta a seconda delle necessità, si aveva la possibilità di scaldare vari punti del letto.
La bottiglia in alluminio
Un metodo alternativo prevedeva l’impiego di una bottiglia d’alluminio, solitamente della capienza di un litro. La bottiglia, riempita di acqua molto calda, veniva chiusa ermeticamente con uno tappo a vite ed infilata in un sacchetto di tessuto di lana in grado di calzarla perfettamente come un guanto. Così rivestita la bottiglia in alluminio ha storicamente anticipato la borsa dell’acqua calda, con la quale ha condiviso gli stessi usi e le stesse funzioni.
Lo scaldaletto
Scaldaletto in rame con coperchio sollevato | © Nicola Pezzotta 2011. All rights reserved.
Molto diffuso era anche lo scaldaletto, un capiente contenitore di rame, a forma di tegame, dotato di coperchio forato e di manico lungo. Riempito anch’esso di brace e cenere, veniva infilato tra le lenzuola e, con un movimento lento e regolare, lo si faceva scivolare sulla superficie del letto in modo da riscaldarlo.
Scaldaletto in rame | © Nicola Pezzotta 2011. All rights reserved.
Il lungo manico rendeva lo scaldaletto funzionale anche ad un altro scopo: riscaldare la biancheria. Come? Semplicemente operando come se si stesse “stirando”. Frequente infatti era il suo utilizzo in occasione del bagnetto dei neonati, al fine di disporre sempre di indumenti caldi all’uso.
La monaca ed il prete
Ho volutamente lasciato alla fine una peculiare tecnica di riscaldamento, diffusissima in passato nelle campagne marchigiane, una tecnica che si avvaleva di due ben distinti strumenti.
La monneca | © Nicola Pezzotta 2011. All rights reserved.
Il primo di questi consisteva in un recipiente in terracotta a bocca larga e manico corto, atto a raccogliere le braci del camino. Il secondo invece era un curioso attrezzo costituito da due coppie di assi ricurve, unite alle estremità e poste lateralmente a due ripiani in legno.
Il prete nel letto. Esistevano due diverse grandezze: uno per il letto ed uno, più piccolo, per la culla | © Nicola Pezzotta 2011. All rights reserved.
Il primo era detto “la monneca” [la monaca], il secondo “lu prete” [il prete].
L’uno era in funzione dell’altro, l’uno complemento dell’altro, in un gioco di relazioni capace di renderli inseparabili, persino nei nomi, pur nella loro perfetta individualità.
Lu prete | © Nicola Pezzotta 2011. All rights reserved.
La struttura in legno, ossia il prete, veniva infilata tra le lenzuola facendo assumere al letto una curiosa forma rigonfia, panciuta, poiché, grazie alle sue assi ricurve, lenzuola e coperte rimanevano sollevate. La monaca, ovvero il recipiente in terracotta contenente braci e cenere, invece, trovava alloggiamento sul piano basso del prete, piano volutamente rivestito in lamiera per ridurre al minimo il rischio di bruciature. Assieme agivano garantendo una uniforme distribuzione del calore in tutto il letto.
E che piacere infilarsi in un giaciglio caldo quando la stanza era gelida!
La monaca ed il prete; perchè questi nomi?
Non conosco le motivazioni di questa scelta linguistica. Forse ha influito il forte legame esistente tra società agricola e religione, una legame che rendeva quei nomi di uso quotidiano, familiari. Oppure ha inciso l’idea, l’immagine, talvolta dissacrante, altre volte piena di malizia, che il popolo aveva di certe realtà ecclesiastiche.
Certo è che, l’uso di termini appartenenti al mondo ecclesiastico, uno declinato al femminile e l’altro al maschile, per definire due oggetti così correlati tra loro, è particolarmente significativo.
Articolo di Muscosa
Bibliografia
Bellesi, Franca, Lucchetti, Storia dell’alimentazione, della cultura gastronomica e dell’arte conviviale nelle Marche, Il Lavoro Editoriale.
Un ringraziamento va alla Sig.ra Ciarlantini Rita, ovvero la mamma, per aver condiviso i suoi ricordi.