Le neviere delle Marche

Neviera della Montagna dei Fiori, Località “Le Tre Caciare”, Teramo. Ph: Luca Marcantonelli

 Neviera della Montagna dei Fiori, Località “Le Tre Caciare”, Teramo. Ph: Luca Marcantonelli

Aprire il frigo e prendere una birra fresca, o un gelato dal freezer, oppure tornare dal supermercato e disporre i cibi nei vari scompartimenti: quando ne abbiamo la necessità, il frigo è li, sempre a nostra disposizione. Abituati fin da piccoli ad averlo nelle nostre cucine, la sua presenza per noi è quasi “scontata” ed il suo utilizzo fa parte della nostra quotidianità.

Eppure non è stato sempre così semplice.

La refrigerazione casalinga occupa un posto relativamente recente nella storia delle tecnologie alimentari. Il brevetto del primo prototipo di frigorifero fu infatti depositato solo nel 1851 dallo scienziato americano Jhon Goorie; si dovrà passare per decine di altri prototipi, attendere l’elettrificazione del paese e soprattutto il boom economico, prima che il frigo si diffonda in quasi tutte le case degli Italiani.

E qui la domanda sorge spontanea: ma prima del frigo, come facevano?

L’unica possibilità per creare il “freddo”, era quella di sfruttare ciò che la natura metteva a disposizione, ovvero la neve ed il ghiaccio.

Il loro utilizzo, sia per scopi alimentari che per usi medici e curativi, era comune a molte civiltà antiche, anche se le tecniche con cui venivano raccolte ed immagazzinate non ebbero inizio in un’area delimitata o in un periodo ben preciso.

Anche i Greci e i Romani ne facevano ampio uso sia per la conservazione dei cibi, che per scopi terapeutici. La neve era ad esempio utilizzata per raffreddare l’acqua nel Frigidarium delle terme, per alleviare gonfiori e contusioni e curare febbri ed ascessi. Era inoltre utilizzata per raffreddare il vino, grazie all’uso di particolari vasi chiamati Psykter, caratterizzati da una forma stretta alla base e larga verso l’imboccatura. Questo, una volta riempito con il vino, veniva posto in un cratere colmo d’acqua e ghiaccio per raffreddarne il contenuto.

Psykter. Foto dal web

 

 Psykter. Foto dal web

L’utilizzo della refrigerazione attraverso l’uso della neve e del ghiaccio ha avuto, in realtà, un ruolo meno importante rispetto ad altre tecnologie della conservazione, come ad esempio l’essiccazione, la salagione e l’affumicatura.

La difficoltà era dovuta al fatto che la neve doveva essere in primo luogo accumulata in montagna d’inverno, mantenuta fino alla primavera, per poi essere trasportata nei paesi a valle. Inizialmente per l’accumulo della neve furono utilizzate grotte o anfratti naturali; in seguito si scavarono apposite cavità o furono costruite strutture chiamate neviere. In alcune zone, specie nell’arco alpino, erano delle vere e proprie costruzioni in muratura, ricoperte da un tetto, senza finestre ma dotate della sola porta d’accesso per depositare il ghiaccio. Nelle nostre montagne marchigiane, così come nelle regioni limitrofe, le neviere erano costituite da semplici buche scavate nel terreno, semisferiche o a tronco di cono e, in alcuni casi, rafforzate da muretti a secco nella parte perimetrale. Venivano costruite in luoghi freschi e riparati dai raggi solari e periodicamente la neve che si accumulava, veniva compressa battendola con dei bastoni così da compattarla e trasformarla in ghiaccio (foto). Per poterla mantenere fino alla primavera, il cumulo veniva ricoperto da materiale isolante, come la paglia, il fieno o le foglie secche.

Foto d’epoca del lavoro su una neviera. Foto dal web

 Foto d’epoca del lavoro su una neviera. Foto dal web

Con l’avvento delle fabbriche del ghiaccio e della successiva refrigerazione casalinga, molte delle neviere presenti nella nostra regione sono state abbandonate o sono state convertite ad altri usi.

La meglio conservata si trova sulla Montagna dei Fiori ai confini tra Abruzzo e Marche.

Si trova in una zona chiamata “Tre caciare”, per la presenza delle tipiche strutture per la raccolta del formaggio ed il ricovero dei pastori. Per raggiungerla si deve prendere la strada che da Ascoli porta a San Giacomo, per poi proseguire fino agli impianti di risalita. Lasciata la macchina, si prende il sentiero che costeggia le caciare fino ad un boschetto dove si trova la neviera. Questa, come si può notare dalle foto, ha una forma circolare e nella parte perimetrale è circondata da un muretto in pietra. E’ profonda circa 2,5 metri e larga 7, e posta vicino ad un bosco al riparo dalla luce solare.

Neviera della Montagna dei Fiori, Località “Le Tre Caciare”, Teramo. Ph: Luca Marcantonelli

 Neviera della Montagna dei Fiori, Località “Le Tre Caciare”, Teramo. Ph: Luca Marcantonelli

Neviera della Montagna dei Fiori, Località “Le Tre Caciare”, Teramo. Ph: Luca Marcantonelli

 Neviera della Montagna dei Fiori, Località “Le Tre Caciare”, Teramo. Ph: Luca Marcantonelli

Questa è l’unica rimasta di una serie di neviere che servivano per rifornire di ghiaccio la città di Ascoli ed i paesi limitrofi. La neve che vi si accumulava in inverno, trasformatasi in ghiaccio, veniva trasportata in città in primavera ed in estate, utilizzando le gerle in vimini o con l’aiuto dei muli. Il trasporto avveniva generalmente di notte per sfruttare le basse temperature ed il ghiaccio trasportato veniva ricoperto da uno strato isolante di paglia.

Nel XVIII secolo il commercio di neve ad Ascoli divenne molto fiorente ed il comune della città decise di dare in affitto le neviere. A testimoniare l’importanza di tale commercio per la città, vi è una documento, depositato presso la magistratura di Ascoli, risalente al 1667, in cui gli affittuari di tali neviere accusavano i pastori provenienti da San Vito, di rubare il prezioso prodotto dalle neviere. Poiché i furti continuarono anche nei decenni seguenti, il Magistrato di Ascoli, nell’aprile del 1790, decise di farne scavare altre due affinché non mancasse la neve alla cittadinanza.

Altre neviere sono presenti nella zona dei Prati di Ragnolo, nel comune di Bolognola in provincia di Macerata. Lungo il bosco che si trova sotto Pizzo Meta, c’è una zona che, come si può vedere dalla foto aerea (Google Maps), è costellata da una serie di “pozzi” naturali lungo il pedio, chiamati “Pozzi de Jana”. Secondo fonti orali, servivano da accumulo e riserva di neve per la città di Sarnano.

Neviere dai Piani di Ragnolo.

 Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata.

Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata. Ph: Nicola Pezzotta

 Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata. Ph: Luca Marcantonelli

Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata. Ph: Nicola Pezzotta

 Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata. Ph: Luca Marcantonelli

Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata. Ph: Nicola Pezzotta

 Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata. Ph: Luca Marcantonelli

Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata. Ph: Nicola Pezzotta

 Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata. Ph: Luca Marcantonelli

Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata. Ph: Nicola Pezzotta

 Neviere Piani di Ragnolo, Monti Sibillini, Macerata. Ph: Luca Marcantonelli

Come detto in precedenza, il ghiaccio veniva trasportato a valle nelle città dove a sua volta doveva essere conservato. A tale scopo furono costruite, soprattutto nei palazzi nobiliari e nelle strutture del clero, delle apposite strutture chiamate “Ghiacciaie”, di cui vi scriverò nel prossimo articolo (Ghiacciaie e conserve nel territorio marchigiano).

Un’ultima curiosità: tra le molte leggende che circondano il mito della Sibilla Appenninica ve n’è anche una (riportata nel libro “Racconti e leggende dei Monti Sibillini” di Giuseppe di Modugno), in cui gli abitanti dei paesi intorno al Monte Sibilla, erano soliti andare all’inizio dell’inverno nell’antro della Sibilla portando con se i prodotti alimentari da conservare durante l’inverno.:

“..la Regina era bellissima, aveva i capelli biondi come l’oro, gli occhi lucenti come stelle ed era anche molto saggia e dotta. Sapeva vedere nel presente, nel passato e nel futuro, e molti erano quelli che si recavano da lei per ricevere preziosi consigli. In tutto era esperta, dall’agricoltura all’artigianato, e conosceva le qualità medicinali delle erbe. Per conservare gli alimenti, la Regina metteva a disposizione di tutti le sue numerose grotte, situate per lo più in cima ai monti più alti.

Immaginate che spettacolo nel primo autunno la lunghissima fila di adulti, bambini e vecchi che si snodava su per la montagna. Tutti trasportavano sulle spalle le scorte deperibili, ciascuno in proporzione alle proprie forze. Canti gioiosi venivano intonati sotto il cielo di settembre, e poiché per il trasporto veniva scelto un giorno di bel tempo, tutto si risolveva in una grande festa. Poi, una volta arrivati alla grotta, chi era stanco si poteva riposare ed i più agili, uomini e donne che avevano ancora un po’ di energie in corpo, accennavano qualche passo di “saltarello”, il ballo preferito dalla Regina. Per questo motivo tal ballo era chiamato “il ballo delle fate”. Quando poi sopraggiungeva l’inverno, erano i più forti ed abili sciatori ad incaricarsi del recupero di quanto era necessario, protetti nel loro compito dalla Sibilla, che aveva anche il potere di comandare agli elementi della natura.”

Articolo di Luca.

Biliografia:

Aterini B., Le ghiacciaie: strutture dimenticate, Alinea Editrice, 2008
Modugno G., Racconti e leggende dei monti sibillini, Macerata, Cooperativa “Gruppo 83”, Mi.e.r.ma Editrice
http://www.sardimpex.com/articoli/PRESENZA%20DELLE%20NEVIERE%20IN%20CAPITANATA.htm
http://piceninelmondo.com/magazine-curiosita-picene/ladri-neve-neviere/

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