La salita finale al Monte Carpegna. Ph: Nicola Pezzotta
Ricordo che avevo 16 anni ed ero estasiato davanti alla tv.
Davanti a quell’omino pelato che schizzava sulle salite come se non fossero poi così impegnative.
Lo ricordo come se fosse ieri.
“Eccolo che va! Eccolo che parte!”. Pomeriggi interi ad aspettare quell’istante.
Il prima e il dopo erano insignificanti davanti all’esplosione di adrenalina di quell’attimo.
Mi alzavo anch’io dal divano saltellando e dicendo “vai Marco, vai!”.
Erano ricordi bellissimi, durati il tempo di una stagione, di un anno, fin quando un sistema malato (soprattutto a quanto leggo in questi giorni) è riuscito a rovinare. E lo ha fatto per molti anni.
Sono sicuro che non solo io ma tanti altri italiani e tifosi come me in quel 5 giugno 1999 si sentirono traditi.
Traditi da una persona che era riuscita a farci sognare, a farci dimenticare per un momento tutti gli affanni del vivere quotidiano, a farci tornare bambini. E proprio per questo la reazione da parte nostra è stata sconcertante.
Prima ancora degli accertamenti, di capire bene cosa sia successo, tutti già ad attaccarlo, a dire “certo, sennò come faceva a fare quello che ha fatto?”.
In ogni bar non ho sentito uno che lo difendesse. I più dicevano “si vabè, ma lo fanno tutti ormai”.
E lui, da quel momento in poi non s’è più ripreso. E’ sprofondato in una depressione senza fine il cui ultimo atto è stata la sua morte (ancora non si è capito bene se per suicidio od omicidio) per overdose di cocaina nel febbraio 2004.
Indipendentemente dal fatto se Marco Pantani fosse stato colpevole o no, una cosa è sicura: è stato lasciato solo. Nessuno gli è stato vicino.
La sua morte mi ha veramente scioccato ed è straziante pensarci ma in fondo siamo tutti un po’ colpevoli di quello che è successo.
Ora spunta anche un’intercettazione di un camorrista che sta riaprendo le ferite di quei giorni del 1999 quando Marco Pantani fu escluso dal Giro d’Italia, a pochi giorni dalla vittoria; un Giro d’Italia che stava vincendo con netta superiorità su tutti gli altri.
“Non so come, ma il pelatino non arriva a Milano. Fidati. Se vuoi ti presto io i soldi, se perdi non mi devi nulla. Perché lo faccio? Sei Vallanzasca…”. Una dichiarazione di un pentito che oggi sembra avere riscontro da un’intercettazione telefonica uscita fuori da un’altra indagine.
A quanto pare un enorme giro di scommesse clandestine pilotava forse le sorti di quel Giro.
Non so quello che si scoprirà, ma so che ci sentiremo ancora più in colpa per la fine che fece Marco Pantani.
Proprio per ringraziarlo di quello che ci ha regalato in quegli attimi, voglio ricordarlo nei suoi momenti migliori quando scattava col suo piglio, azzannando la salita come solo lui sapeva fare. In quei pochi secondi, in quell’accelerazione istantanea non ce n’era più per nessuno.
Come mai vi parlo di questi ricordi, proprio in questi giorni? Perché quando sono andato qualche mese fa nel Parco Interregionale del Sasso Simone e Simoncello in occasione del blogtour #marchenatura ho potuto vedere dove Marco Pantani si allenava. E subito sono salite le emozioni di una volta e il dispiacere di non averlo mai potuto vedere scattare dal vivo.
Monumento a Marco Pantani presso il Cippo di Carpegna. Ph: Nicola Pezzotta.
La salita al Monte Carpegna è una di quelle salite brevi e intense che Marco avrà percorso chissà quante volte nella sua vita.
Lo dice spesso nelle sue dichiarazioni:
{xtypo_quote}[…] è sul Carpegna che ho preparato tante mie vittorie.
Non ho bisogno, prima di un Giro o di un Tour, di provare ad una ad una tutte le grandi salite.
Una sola volta, se ricordo bene, sono andato a dare un’occhiata in anticipo al Mortirolo e al Montecampione. Ma in macchina. E non mi è servito neanche molto.
Il Carpegna mi basta.
Da Coppi in poi è una salita che ha fatto la storia del ciclismo e ogni tanto anche il Giro ci è passato.
Io non le conto più le volte che l’ho fatta, allenandomi.
Direte che sono un tradizionalista. Forse sì.
Sempre ad allenarmi sule stesse strade di casa.
Sempre a spingere gli stessi rapporti, gli stessi che uso in corsa.
Sempre in giro senza borraccia, perché mi bastano quelle quattro fontane che so io dove sono.
Una proprio a Carpegna.{/xtypo_quote}
Tutto lungo questa salita ti fa pensare a lui: le scritte, le prime pagine della Gazzetta dello Sport che si trovano ad ogni tornante, il monumento a Marco Pantani alla località il Cippo a circa metà salita.
“Questo è il cielo del pirata”. Ph: Nicola Pezzotta
Sicuramente percorrendola in bici e annaspando sui pedali te lo immagini lì a sorpassarti a velocità doppia con la sua pelata imperlata di sudore che luccica alla luce del sole.
Salita vera quella del Carpegna: in poco più di 6 km, 624 m di dislivello con pendenze medie del 10,2% e massime del 14,7%.
Salita al Carpegna: dislivelli. Tratto da: www.appenninoromagnolo.it
Quando arrivi alla seconda metà denominata “fuga di Merckx” la suggestione non può che aumentare. Le rare auto scompaiono del tutto, la strada si immerge nella faggeta e il fondo, l’asfalto, è quasi ricoperto completamente dalle foglie cadute.
Tu pedali e senti solo il tuo respiro.
“Si sente solo il tuo respiro”. Foto da www.quagliereali.it
Ma quando arrivi al punto più alto, al tuo Gran Premio della Montagna personale, e guardi davanti a te il Sasso Simone e Simoncello e più in là il Nerone, il Petrano e il Catria, con la voce rotta dal fiatone, puoi finalmente lanciare il tuo urlo “grazie Marco!”.