Monte Sibilla: storia di uno sfregio

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Il Monte Sibilla visto dalla sella che porta alla Cima Vallelunga | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

“Perché accanirsi ancora su questa montagna? Perché continuare a martoriarla così? Non è stato fatto già troppo? A quanto pare non c’è mai limite al peggio”. Ogni volta che vado lassù mi frullano in testa questi pensieri, queste domande.

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Monte Sibilla | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

Il Monte Sibilla (2173 m s.l.m.m.) è la montagna simbolo dell’intera catena dei Monti Sibillini del Parco Nazionale istituito nel 1993 e sicuramente la più importante cima del centro Italia. Importante non per la sua altitudine o le sue pareti di arrampicata ma per quello che ha rappresentato, e forse ancora rappresenta, nell’immaginario umano: il monte dove regna la Sibilla Appenninica. Qui ognuno può chiedere ciò che desidera e gli sarà dato, previa la concessione della propria anima; qui cavalieri e negromanti si sono recati alla ricerca di tesori o semplicemente di se stessi; qui, narra la leggenda, si recò il Guerrino detto il Meschino nel XV secolo alla ricerca dei suoi genitori; qui, nel 1420, Antoine de La Sale volle vedere con i suoi occhi se le leggende locali fossero vere; qui probabili riti, forse dedicati alla dea Cibele, si svolsero fin da quando queste terre iniziarono ad essere abitate.

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Il Monte Sibilla | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

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In vetta al Monte Sibilla | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

Per conoscere a pieno questo luogo traboccante di storia e misticismo vi rimando a dei testi specifici, tra cui: “Il Paradiso della Regina Sibilla” di Antoine de La Sale, “Il Guerrin Meschino” di Andrea da Barberino (edizione non censurata dalla chiesa cattolica) e il recente lavoro di Maria Luciana Buseghin “L’Ultima Sibilla”. Infatti io non vi parlerò di queste leggende, stavolta.

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Camminando tra le nuvole sulla cresta del Monte Sibilla | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

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Il Monte Sibilla | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

Quello che vi racconterò, invece, è di come questa montagna è stata e continua ad essere trattata.

Alla grotta della Sibilla, come introducevo pocanzi, si sono recate gente da ogni parte d’Europa spinti dalla bramosia o dalla semplice curiosità. Questa inarrivabile sete di sapere ha compromesso, soprattutto nell’ultimo secolo, l’originaria conformazione della grotta. Anzi ne ha fatto crollare l’atrio, la parte più importante, dove “tutto attorno dei sedili sono intagliati nella roccia” e dove si potevano leggere le iscrizioni di chiunque si fosse avventurato da queste parti e avesse lasciato una traccia di se ai posteri; chissà, magari anche quella di De La Sale, visto che lui ci assicura di aver inciso le sue iniziali. Solo un’iscrizione si legge attualmente tra i detriti: “V.R. 1378”.

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L’iscrizione di Antoine de La Sale ricostruita al Museo della Grotta della Sibilla di Montemonaco | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

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L’iscrizione tutt’ora visibile sui resti dell’antro della Grotta della Sibilla | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

Quello che è stato fatto ormai è storia. La desolazione la potete vedere con i vostri occhi andando lassù. Oggi si parla di riaprire la grotta, di scavare le macerie per riportare alla luce “gli antichi fasti” di quel luogo. Le ultime indagini geognostiche effettuate nel 2000 hanno rilevato la presenza di cavità all’interno della montagna; ma non ai livelli delle Grotte di Frasassi, intendiamoci. A quanto pare sono stati stanziati dalla Regione Marche dei fondi per sistemare l’area e fare nuovi studi, e di questi studi se ne occuperà l’Università di Camerino. Ora, che ci sia una Università dietro mi rincuora molto, ma avrei preferito che le cose rimanessero come sono. Non perché mi piacciano, ma perché ogni volta si è riusciti a far dei danni. A questo punto spero che le cose vadano per il verso giusto. Ho letto in giro di tutto, e sono preoccupato: chi parla di ripristinare l’entrata ricostruendola completamente come è stata descritta nelle carte di Lippi-Boncampi (che fece un bel rilievo prima del crollo dell’entrata); chi di mettere un cancello all’entrata della grotta con un iscrizione sensazionalistica sopra; chi di potenziare il Rifugio, e fare una teleferica fino alla grotta per dar possibilità alle masse di vederla (e di far altre brutture, a mio parere). Pura fantascienza. Il fascino della Grotta della Sibilla è dovuto proprio alla sua “inaccessibilità”, che ci permette non solo di sfidare noi stessi per raggiungerla, ma anche di continuare a sognare grazie ai racconti che ci sono stati tramandati nei secoli.

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Quello che rimane della Grotta della Sibilla | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

Ma lo scempio più clamoroso che è avvenuto sulle pendici del Monte è stata la strada. Quest’opera praticamente inutile che continua a dare i suoi grattacapi. Purtroppo la potete vedere da ogni dove, basta che si trovi a sud del Monte Sibilla e che sia abbastanza in alto; la noterete perfino dal Gran Sasso, nelle giornate particolarmente terse: l’ho verificato con i miei stessi occhi.

Come si è potuto realizzare la strada in un’area così importante del nostro territorio e non riuscire ad opporsi a tale scempio? Dobbiamo fare un salto indietro.

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Lo sfregio della Sibilla: la strada che porta in cima | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

Tutto iniziò nel 1963. Ovviamente internet non c’era e le notizie viaggiavano lente; ciò che si voleva tenere nascosto si riusciva a farlo bene, soprattutto in queste zone. Il Parco Nazionale sarebbe nato 30 anni dopo e quindi gli unici enti che pensavano alla salvaguardia di questi territori erano le associazioni ambientaliste, in particolare il CAI e Italia Nostra.

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Lo sfregio della Sibilla: la strada che porta in cima | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

Con la scusa di voler realizzare dei miglioramenti ai pascoli del versante sud del Monte Sibilla e renderli fruibili in modo più agevole il Consorzio di Bonifica dell’Aso, nella figura dell’ing. Paoletti, e il comune di Montemonaco, nella figura dell’allora sindaco comm. Corbelli, decisero di realizzare una strada di circa 1 km e mezzo che partisse da Collina di Montemonaco e risalisse la montagna. Ovviamente si scoprì, col passare degli anni, che questo scopo era una copertura. Quella che loro volevano realizzare (insieme ad altre figure tra cui le amministrazioni provinciali, l’allora sindaco di Ussita, on. Rinaldi e il Direttore del Consorzio di Bonifica dell’Alto Nera) era una strada che collegasse il Comune di Montemonaco con il paese di Frontignano nel comune di Ussita. Perché? Ufficialmente per favorire lo sviluppo economico delle comunità residenti, ma in diverse dichiarazioni vennero fuori le reali motivazioni: sfruttare i pascoli difficilmente accessibili di Vallelunga, realizzare un bacino di utenza più ampio per gli impianti sciistici di Frontignano, realizzare di impianti sciistici sui versanti della Sibilla e sulla Vallelunga, edificare villette in posizioni particolarmente panoramiche.

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Pastori sulle praterie del Monte Sibilla | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

Così nel 1963 iniziarono i lavori. Prima un lotto, poi altre varianti e “migliorie”; poi un altro lotto, e un altro ancora.. quello che stava accadendo era diventato chiaro a molti. In quegli anni gli oppositori a questo sfacelo erano veramente pochi e tra questi il CAI e Italia Nostra nelle figure di Scalabroni, Calibani, Pedrotti e Pirone. Si batterono in modo estenuante, e nel 1970 il CAI di Ascoli in una lettera indirizzata al Ministero, espresse chiaramente il perché quest’opera non avesse senso: per 6 mesi all’anno sarebbe rimasta bloccata dalla neve; negli altri 6 mesi sarebbe rimasta comunque soggetta a cadute massi e detriti dall’alto; la manutenzione avrebbe avuto un costo esorbitante; sul Monte Sibilla non si può praticare lo sci per la certezza di cadute di valanghe; tra Marche e Umbria esistono già altri collegamenti; la strada non avrebbe risolto i problemi di isolamento di quei centri montani e, inoltre, avrebbe distrutto un paesaggio di straordinaria bellezza, alterando l’ecosistema esistente.

Furono mandate lettere al Ministero, all’Ispettorato Agricoltura e Foreste, al Soprintendente ai Beni Ambientali e Monumentali delle Marche, al Presidente della Provincia di Ascoli Piceno, all’Associazione per la Valorizzazione dei Monti Sibillini, alla Forestale di Ascoli Piceno, e a molti altri e intanto le ruspe continuavano i lavori. Siamo nel 1971 e la strada è arrivata in cresta, sul valico tra il Monte Sibilla e la Cima Vallelunga: manca solo il collegamento fino al Passo Cattivo.

Però la notizia era diventata, ormai, di dominio pubblico, rimbalzando continuamente su molte testate giornalistiche: sul Tempo come su Messaggero si leggevano articoli pro e contro la realizzazione della strada, dichiarazioni, minacce, accuse. Gli interpreti di questa vicenda erano a ferri corti. Una piccola vittoria degli ambientalisti si ebbe a metà del 1971, quando i lavori vennero temporaneamente sospesi. Ma questo solo secondo le carte: in realtà le ruspe continuavano a lavorare in barba a tutte le diffide del caso.

Ripresero le sollecitazioni di ambientalisti e professori universitari agli enti decisori che portarono ad un incontro tra tutte le parti in causa per raggiungere un accordo sul da farsi: era settembre del 1971. Tra le parti era presente anche l’on. Sen. Giovanni Venturi a cui si era rivolto proprio il prof. Pedrotti dell’Università di Camerino per far capire la gravità della questione. Basta leggere i verbali per capire che la riunione fu molto animata e i due schieramenti si batterono fortemente a difesa ognuno delle proprie idee. Alla fine non si arrivò ad un accordo e questo finì per giovare le associazioni ambientaliste che videro i lavori bloccati in modo definitivo. “Nel dubbio che una delle due parti in causa potesse avere ragione, nessuno se la sentì di prendere provvedimenti, decisioni, così tutto rimase come allora.” All’altezza del Rifugio Sibilla si decise alla fine di chiuderla al transito per pericoli oggettivi.

Sono passati 42 anni da allora e la strada è ancora là. Una bruttura per gli occhi, che ha deturpato in modo irrimediabile il pendio sud del Monte Sibilla estirpando quella cotica erbosa che naturalmente trattiene il terreno. E’ stancante anche da percorrere a piedi, non so, forse perché è qualcosa di “estraneo” all’ambiente circostante. Da qualche anno si è aperta una piccola frana all’altezza di uno dei suoi tornanti e altre piccole frane si aprono continuamente. Una delle motivazioni è perché questa strada si colloca esattamente su due frane di scorrimento attive, conosciute da tempo, come è possibile vedere anche sulla carta geomorfologica della Regione Marche aggiornata al 1997-2001. Queste due frane “probabilmente potrebbero costituire le evidenze più superficiali di un più ampio fenomeno di dissesto gravitativo profondo che coinvolge l’intero versante del monte, la cui esistenza appare testimoniata dalle le ampie fessurazioni e trincee di distensione che caratterizzano la lunga cresta sudoccidentale della Sibilla”.

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Dettaglio della Carta Geomorfologica della Regione Marche

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Dettaglio della Carta Geomorfologica della Regione Marche

Speravo che questi dissesti mettessero fine alla travagliata storia del luogo e che la montagna, pian piano, si riappropriasse dei suoi spazi. Ma mi sbagliavo: come la Grotta della Sibilla, anche la strada per arrivare in cima è ritornata all’attenzione pubblica. Si parla di sistemare la frana con delle opere di sostegno e a quello che ho sentito in giro sono stati già stanziati i fondi per farlo. Ma perché sistemare una strada chiusa e in disuso in cui le uniche jeep che si vedono sono quelle dei pastori? Forse c’è un ritorno alla pastorizia, una ripresa dell’attività di pascolo delle greggi su questi pendii? Niente di tutto questo, ovviamente. La ragione è una sola: si vuol riaprire la strada. Si vuole dare la possibilità a chiunque di arrivare comodamente con la propria auto in cima al Monte Sibilla e guardarsi attorno.

Ad andare a spulciare le carte si scopre che in realtà la strada non è mai stata chiusa ufficialmente. Il Piano del Parco dei Monti Sibillini prevedeva il recupero ambientale della strada ma non se né mai fatto niente, forse per mancanza di fondi. Andare ad operare in quella zona dove sono stati alterati i delicatissimi equilibri idrogeologici non è una questione così semplice. “L’unico intervento indispensabile, ma mai realizzato nel Piano del Parco, è la rinaturalizzazione dell’intero versante, favorendo la ripresa del manto vegetale erbaceo originario, grazie all’attenuazione del ruscellamento e dell’erosione canalizzata”. Ma quello che si vuole fare non sembra sia il recupero, ma il ripristino della percorribilità della strada.

Non facciamo altri danni a questo luogo magico. Credo ne abbia già avute abbastanza.

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Vista che si gode dalle praterie del Monte Sibilla verso il Complesso del Vettore | © Nicola Pezzotta. All rights reserved.

 

Articolo di Nico.

 

Fonti:

“Sibillini – storia di un parco” a cura di Marcello Nardoni, Società Editrice Ricerche, Ascoli Piceno, 1999.

Carta geomorfologica della Regione Marche, scala 1:10.000

“L’infinita e insensata storia della strada della Sibilla” di Luigi Vitali sul sito del CAI Macerata.

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