Al cospetto di uno dei grandi faggi del Monte Canfaito, Riserva Naturale del Monte San Vicino e Canfaito. Ph: Nicola Pezzotta
E’ moltissimo che non vi parlo di montagna e di natura.. mi sono reso conto che ultimamente ho dedicato più tempo nel viverla che nel raccontarla. E’ una grave mancanza perché solo ascoltando le parole di qualcuno come me che vive la montagna con i suoi occhi, le sue gambe e i suoi polmoni riuscirete a conoscerla meglio e a essere stimolati nel farlo.
All’ombra di un faggio gigante
sedevo assorto e lontano miravo
valli distese e lor dolce oscillare.
Sedevo un tappeto di foglie
e udivo l’acuto cantare
e gli innumerevoli suoni
d’uccelli stanchi di volare.
Sedevo e immaginavo,
tra l’alte erbe di quelle valli,
i mondi che mi son nascosti,
i lor misteri e i loro molti inganni.
Sedevo all’ombra di quel faggio.
E tutto intorno si taceva.
Andrea Brezza
Stavolta vi voglio parlare di un albero. Ma quale? Ce ne sono così tanti nei boschi! Ma tra tanti ce n’è uno in particolare che ha sempre colpito maggiormente la mia attenzione; mi cattura lo sguardo, mi ipnotizza.
Il faggio.
Camminando tra i suoi fusti mi vengono subito in mente parole come eleganza, maestosità, nobiltà. Chiudete un attimo gli occhi e poi riapriteli. Non vi sembrano dei duchi vestiti a festa che si scambiano battute e parlano del più e del meno in un salone ottocentesco di uno dei nostri lussuosi palazzi?
Forse mi sono fatto prendere troppo dalla suggestione, oggi. 🙂
Parlavo di nobiltà, ma allo stesso tempo questi alberi danno un senso di imponenza. Il faggio può raggiungere l’altezza di 40 metri e l’età ragguardevole di 500 anni (nelle Marche sembra che il faggio più vecchio sia proprio di quest’età e si trovi nella Riserva Naturale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito).
Faggeta della Valle dei Tre Santi, Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ph: Nicola Pezzotta
Faggeta del Monte Canfaito, Riserva Naturale del Monte San Vicino e Canfaito. Ph: Nicola Pezzotta
Quando rimane isolato dagli altri esemplari e invecchia in solitudine assume la fisionomia di un patriarca gigantesco che si erge dal terreno con tutta la sua forza.
Nelle sue forme contorte a volte ci si immagina fisionomie e facce di divinità ancestrali. Infatti sin dal tempo dei Celti il faggio era visto come una vera e propria creatura magica e sacra.
Alta Val d’Ambro, Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ph: Nicola Pezzotta
Poi, “con l’avvento del Cristianesimo, tutte le divinità della tradizione celtica cominciarono ad avere una valenza maligna, e ciò che prima era visto come un’entità benefica, residenza di creature fatate, ora non era altro che la dimora di spiriti funesti. Si narra che molti dei faggi presenti nel nostro territorio fossero il ricettacolo di streghe, stregoni e fantasmi che si riunivano per organizzare convegni notturni e festini osceni”.
Faggeta del Monte Canfaito, Riserva Naturale del Monte San Vicino e Canfaito. Ph: Nicola Pezzotta
Quando invece non è da solo, lo possiamo trovare in associazione con altre specie come l’abete bianco, il tasso e l’agrifoglio oppure solamente con i suoi simili, formando delle immense e incantevoli faggete. Sono queste quelle che catturano di più il mio immaginario.
Alta Val d’Ambro, Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ph: Nicola Pezzotta
Allora guardiamoli meglio questi boschi. Non notate niente di particolare? Potete camminare tranquillamente tra i suoi tronchi, senza problemi, senza inciampare in altri arbusti. Praticamente il sottobosco è quasi completamente spoglio di piante. Come mai? Questo perché il faggio ha un’infinita quantità di foglie che non permette ai raggi solari di arrivare a terra. Solo una piccola quantità ci riesce, ma non sono sufficienti per il sostentamento delle altre piante.
Alta Val d’Ambro, Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ph: Nicola Pezzotta
Questa elevata densità di foglie rende la faggeta il luogo ideale per godere dell’ombra e per rinfrescarsi durante le calde giornate estive. E accanto a questa diminuzione della temperatura si ha anche un improvviso aumento dell’umidità. Entrare in una faggeta è un po’ come passare da una savana africana ad una foresta tropicale, il principio è lo stesso.
Foresta di San Gerbone, Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Ph: Nicola Pezzotta
Ora addentriamoci di più al suo interno. Un passo… un altro… e poi un altro ancora. E ogni volta, tra il rumore delle foglie che scricchiolano sotto i propri piedi, si alza il penetrante profumo dell’humus.
Fermatevi, guardatevi attorno ancora una volta e ascoltate. Il silenzio è forte e se non c’è il vento che fa muovere le fronde, sentite solo il vostro respiro.
Nella faggeta è raro incontrare qualche animale, giusto all’alba o di notte. Questo perché essendo un habitat povero di piante, anche le risorse alimentari per gli animali sono scarse; quindi pochi vi circolano. Quelli che potete incontrare di passaggio alla ricerca delle faggiole, i frutti del faggio, sono il moscardino, il ghiro, lo scoiattolo ma più di tutti il cinghiale. Se guardate in basso troverete spesso delle buche, anche recenti. La terra è dissodata, sconvolta perché nella sua ricerca del cibo, il cinghiale non è che fa troppi complimenti!
Faggeta del Monte Canfaito, Riserva Naturale del Monte San Vicino e Canfaito. Ph: Nicola Pezzotta
Questa apparente assenza di vita animale che vediamo al suolo cambia radicalmente se si vanno a guardare i rami degli alberi. Lassù, tra il fogliame verdeggiante, si ha un elevato grado di diversità. Alcuni esempi di uccelli nidificanti nelle faggete sono il picchio nero, la cincia mora, il pigliamosche, la civetta, lo sparviero e anche l’astore.
Si potrebbe anche incontrare un insetto molto interessante, soprattutto nei faggi vetusti: la rara Rosalia alpina. Infatti questo particolare cerambice azzurro depone le sue uova proprio nel legno marcescente del faggio.
Rosalia alpina, Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ph: Nicola Pezzotta
Lo sviluppo della faggeta, come per tutte le altre associazioni arboree dipende da molti fattori: la quota, la latitudine, la natura del substrato su cui cresce, le condizioni climatiche, ma anche da altri che ne influenzano il microclima locale come l’esposizione dei versanti, la piovosità, i venti dominanti, ecc.
Non so se l’avete mai notato quando passeggiate in montagna o state facendo un’escursione: ad un tratto l’ambiente che vi circonda cambia totalmente. Prima, ad esempio, eravate in un bosco di carpini e roverelle, poi, continuando a salire, sul sentiero inizia a spuntare qualche faggio, fino a quando non avete il loro completo predominio.
Dovete sapere, infatti, che i faggi crescono principalmente in zone montane, in una fascia altitudinale compresa tra i 900 m e i 1400 m (che è anche il limite naturale del bosco). A volte qualche esemplare isolato si spinge anche fino ai 1900 m.
Alta Val d’Ambro, Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ph: Nicola Pezzotta
Ed è proprio a queste quote che il faggio la fa da padrone incontrastato, soprattutto in Appennino dove l’abete è pressoché inesistente. Circa tra 8000 e 4000 anni fa le nostre montagne erano interamente ricoperte da foreste di faggio di elevata densità e vastità. Poi, con il passare del tempo, il sempre maggiore bisogno di terreni adatti al pascolo portò al disboscamento della maggior parte delle faggete appenniniche. Le praterie e i pascoli di montagna che vediamo oggi, al di sotto dei 1800/1900 m, non sono naturali ma ecosistemi secondari prodotti dall’attività umana attraverso il taglio, l’incendio e il pascolo.
Un esempio emblematico di questo disboscamento è la zona di Castelluccio di Norcia nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Immaginatevi l’intero Pian Grande, Pian Piccolo e Pian Perduto completamente ricoperto di faggi. Solo un piccolo lembo è rimasto intatto dal taglio incontrollato di quell’area ed è la Macchia Cavaliera, la faggeta che si trova tra il Pian Piccolo e l’area di Forca di Presta.
Val Canatra, Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ph: Nicola Pezzotta
Per ciò che riguarda la natura del substrato per il faggio sembra indifferente perché lo troviamo sia nelle zone calcaree (substrati basici) che in quelle arenacee (substrati acidi).
Il faggio ama l’ombra (sciafila), il vento (anemofila) e ambienti freschi e umidi (mesofila) ma con escursioni termiche contenute. A causa di queste caratteristiche, a volte, in particolari condizioni climatiche, si hanno delle zone in cui possiamo rinvenire delle piccole faggete a quote inaspettate.
Alta Val d’Ambro, Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Ph: Nicola Pezzotta
Nelle Marche ci sono diverse stazioni eterotopiche che si attestano tra i 300 e i 500 m di quota: valle del torrente Cinante, Sant’Angelo in Pontano, Colli di San Ginesio vicino Sarnano, Valle Scappuccia, Monte Bardo lungo il fosso Montebello, Monti di Cingoli nei versanti settentrionali del Monte Nero, Monte Albullo nei dintorni di Monteciccardo.
Per quanto riguarda invece gli usi che se ne faceva in passato possiamo dire che “un tempo si utilizzava la corteccia del Faggio, che è febbrifuga e tonica, a mò di china e anche contro la dissenteria, perché è astringente”.
Inoltre “il catrame del suo legno, distillato a secco, il creosoto (dal greco krèas, “carne”, e sodzen, “conservare”), potente antisettico scoperto nel 1832 da Reichenbach, viene usato dall’industria farmaceutica come disinfettante dei polmoni nella composizione di molti sciroppi.”
Ora non vi resta di guardare i faggi con occhi nuovi nelle vostre (nostre) prossime escursioni! 🙂
Faggeta del Monte Canfaito, Riserva Naturale del Monte San Vicino e Canfaito. Ph: Nicola Pezzotta
Biobliografia:
Alberi colonne del cielo – Ugo Scortegagna – CAI Sezione di Mirano;
Storia e leggende degli alberi – Jacques Brosse;
Le faggete appenniniche – Quaderni habitat n°15 – Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio;
Escursioni nel Parco dei Monti Sibillini – M. Zanetti, V. Toniello – CIERRE Edizioni