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Marmellata di arance con scorzette | Foto di Simona Pezzotta
Esistono modi diversi di preparare una marmellata di arance. Si può utilizzare il frutto intero o soltanto la sua polpa. Si può arricchire con spezie, bucce di agrumi misti oppure lasciarla in purezza. Ognuna di queste modalità porta a risultati diversi in termini di gusto e consistenze. Nella nostra ricetta utilizzeremo polpa e succo di arance bionde, ricavati pelando la frutta a vivo. In questo modo otterremo una marmellata in cui i pezzi di frutta saranno ben visibili. L’aggiunta di scorzette di limoni ed arance accrescerà il gusto finale della marmellata, conferendo piacevoli sensazioni di freschezza.
Nella tradizione gastronomica delle Marche esiste un piatto che ogni marchigiano, anche quello acquisito, ha assaggiato almeno una volta nella sua vita. Si tratta del Frecandò, conosciuto anche come Frecantò, Fricchiò, Fricò. E sì, perché in una terra al plurale come le Marche, plurimo è anche il suo lessico gastronomico.
In cucina non si butta via nulla, non si spreca nulla. Come un mantra, queste poche e semplici parole hanno condizionato la mia, come quella di molti altri, educazione alimentare. Eppure lo spreco in atto oggi, nella nostra società, è tale da renderlo un tema di grande attualità.
Da una ricerca condotta dall’Osservatorio sullo spreco domestico Waste Watcher si calcola che soltanto in Italia, in un anno, il valore dello spreco alimentare domestico sia di circa 8.1 miliardi di euro, con una media di 630 grammi di cibo buttato nella spazzatura alla settimana, per nucleo familiare. (Rapporto 2014)
Sembra incredibile ma l’alimento più sprecato è il pane, se si fa eccezione della frutta e della verdura che, per una questione merceologica, sono di più facile deperibilità. Proprio il pane, cibo fondamentale della nostra alimentazione, così ricco di valori culturali e simbolici, intimamente legato alla storia umana, è il cibo più buttato nella spazzatura. Perché invece non pensare di riutilizzarlo?
In questa confettura i fichi bianchi sposano le mandorle, per un sodalizio classico che non smette mai di piacere. Scegliete varietà locali per la vostra confettura, avrete in questo modo non solo la possibilità di godere di una conserva dalle particolari note, ma anche di riscoprire i sapori del vostro territorio. Infine, non fate trascorrere troppo tempo dal momento della raccolta dei frutti a quello della preparazione, i fichi tendono a deteriorarsi velocemente. Nel mio caso ho optato per i frutti di un vecchio fico che, vigoroso, cresce da molti anni nell’orto dei miei genitori. Il nome della varietà purtroppo è andato perduto, ma l’albero fu piantato da mio nonno che lo portò, quando ancora era una piccola piantina, dal suo paese d’origine, trasportandolo in treno. Mio nonno aveva una predilezione per i treni. Con lui ogni cosa, oggetto o persona, viaggiava in treno.
Vecchi ricettari di famiglia|| Foto di Simona Pezzotta
I vecchi ricettari di famiglia, quelli scritti a mano in quadernetti dalle pagine ingiallite dal tempo, nascondono spesso dei tesori. Ricette che raccontano la storia gastronomica del nostro Paese, fatta di localismi, tradizioni e territorialità. Ricette che documentano l’evoluzione del gusto nel tempo.
E’ in uno di questi vecchi ricettari, pieno di appunti e foglietti di varia foggia e misura, che ho fortuitamente scovato la ricetta del Serpe di Falerone. Databile verso la metà del 1900, la ricetta ritrovata racconta di un vicino passato in cui il dolce tradizionale di Falerone si era già arricchito di numerosi ingredienti, alcuni piuttosto moderni, rispetto alle sue origini, più morigerate, più povere. E’ plausibile pensare infatti, viste le origini lontane nel tempo ed il contesto socio-ambientale in cui nacque, che inizialmente Lu Serpe di Falerone fosse diverso da come lo conosciamo oggi: più povero negli ingredienti, quelli resi disponibili dalla francescana economia conventuale.
Lenticchie di Castelluccio di Norcia IGP | Foto di Simona Pezzotta
Piccola, saporita, dalla buccia sottile sottile, tanto da non aver bisogno di ammollo, ed un colore che varia dal verde screziato al marroncino chiaro: è la lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP, un insieme di ecotipi locali di lenticchia. La zona di coltivazione di questo prezioso legume è l’altopiano di Castelluccio, una vasta area nel cuore del Parco Nazionale dei Monti Sibillini formata da tre grandi piani (Pian Grande, Pian Piccolo e Pian Perduto), a cavallo tra due regioni: Marche ed Umbria. La lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP si presta a moltissime preparazioni. Quella che segue è la ricetta più semplice della tradizione contadina, quella che permette di cogliere meglio tutte le peculiarità e le qualità organolettiche di questo pregiato prodotto della terra.
Tajulì pilusi in lavorazione || Foto di Simona Pezzotta
La pratica di impastare la farina con acqua e di stendere ha accomunato nel tempo popoli e territori nella battaglia per la sopravvivenza, portando alla nascita di uno dei cibi più amati e conosciuti: la pasta. Non c’è angolo d’Italia che non vanti una sua tradizione in materia, una sua specialità, un modo tutto particolare di acconciare la pasta e le terre marchigiane non fanno eccezione.
Tra le varie tipicità che rendono ricca la gastronomia delle Marche, una preparazione in particolare affascina per le sue origini profondamente legate alla cultura ed all’economia rurale delle terre di genitura, le Marche centro meridionali. Si tratta de “li tajulì pilusi”.
Jia strinata ovvero oliva intirizzita, gelata dal freddo. L’esigenza di conservare a lungo alimenti di facile deperibilità, di farne una scorta, approfittando dei periodi in cui maggiore è la disponibilità, ha portato nel tempo l’uomo a sviluppare diversi metodi di conservazione. La salatura è uno di questi. E’, tra le tecniche conserviere, una delle più antiche.
Passeggiando per le campagne marchigiane non è così insolito incontrare, disseminati nei vari poderi, curiosi alberelli "che invece di elevarsi piramidalmente come gli altri Ciliegi, si allargano con una chioma rotonda, che li rendono pieni e cadenti" così Giorgio Gallesio in Pomona Italiana ossia Trattato degli alberi fruttiferi(Pisa 1817-1839). Sono i viscioli, dal ricco fogliame verde scuro che, ad inizio estate, si punteggia di un intenso rosso rubino.
Visciole al sole | Foto di Simona Pezzotta.
Il visciolo è un Prunus cerasus ovvero un ciliegio acido.