Rocchetta, ghost town | © Nicola Pezzotta 2012. All rights reserved.
Vicino Ascoli Piceno, ci sono luoghi dimenticati, immersi nella natura più selvaggia, in cui non è raro incontrare caprioli, cinghiali e (se siete fortunati) anche lupi. Come dico spesso, “ho visto più animali qui che nel Parco dei Monti Sibillini”. Non chiedetemi il perché; forse, essendo questo territorio al confine con il Parco, anche loro, come noi umani, vogliono provare l’ebbrezza di sconfinare, di esplorare luoghi nuovi, anche esponendosi ai rischi che ne consegue. Sta di fatto che girando per questi posti, oltre ai numerosi rapaci, ho incontrato una biscia lunga quasi 2 metri, numerosi scoiattoli, un capriolo e un cinghiale (in spalla ad un cacciatore, però).
I boschi sono fitti e intricati: lecci, querce e castagni sono gli alberi che incontrerete più spesso; nel sottobosco, invece, tra l’interminabile manto giallo-arancio di foglie cadute, le felci sono alte e rigogliose.
Monte Savucco, nei pressi di Rocchetta. Vi faccio notare che le felci, per quanto sono alte si confondono quasi con i rami degli alberi | © Nicola Pezzotta 2012. All rights reserved.
In questi luoghi vivono ancora delle piccole comunità; hanno edificato paesini arroccati su speroni di arenaria, sfruttando ciò che la natura aveva da offrire. Gli edifici sono costruiti in simbiosi con l’ambiente utilizzando le pareti, i declivi, i terrazzamenti naturali e sfruttandoli al meglio in un modo che oggi definiremo eco-compatibile. Vivere qui è possibile, ma con il passare del tempo è risultato sempre più difficoltoso. Così pian piano le frazioni di Acquasanta si sono andate spopolandosi fino ad essere abbandonate del tutto. Questo è il caso di Rocchetta.
Le ultime curve prima di Rocchetta | © Nicola Pezzotta 2012. All rights reserved.
Per raggiungere questo paese, se venite da San Benedetto, dovete percorrere la SS4 fino all’uscita di Arli, poco dopo Ascoli Piceno, ed imboccare la vecchia Via Salaria direzione Acquasanta Terme. All’altezza della Frazione Corneto, girate a destra per Tallacano. Qui inizia un lunga salita solitaria immersi nel verde più lussureggiante tra boschi di querce e castagni. Gli unici frequentatori che potrete incontrare sono giusto qualche escursionista, cacciatore o raccoglitore di funghi (o castagne, se è stagione). Dopo circa 5 km da Corneto girate a destra per Collefalciano. Ora, al prossimo bivio che incontrerete dovete proseguire ancora a destra (e quindi ignorare l’indicazione per Collefalciano). La strada, per buona parte è ben messa: per altri 4 km è asfaltata, poi diventa brecciata. Tutto ad un tratto, dopo una curva a destra, sbuca, appoggiata sulla roccia di arenaria, ciò che resta di Rocchetta, il “paese verticale” (14 km dall’uscita di Arli).
Rocchetta come appare oggi, nel 2012 | © Nicola Pezzotta 2012. All rights reserved.
“L’antico centro rurale di Rocchetta, totalmente abbandonato dagli anni Settanta, si compone di varie costruzioni dalle caratteristiche architettoniche uniche. Il Borgo si sviluppa in altezza, appoggiando le fondamenta sulle molteplici terrazze naturali di arenaria, pietra tipica di quei luoghi. Le strutture sono perfettamente integrate con il territorio perché costruite sfruttando il naturale andamento delle pareti rocciose presenti, che, spesso, fungono da muro di perimetrazione creando dei suggestivi esempi di case-caverna. In questo modo i fabbricati, un tempo dimore, botteghe artigiane o stalle, si sposano armoniosamente con la natura circostante, tanto da disegnare un unico ambiente dove il confine tra la zona verde di incontaminato e quella “urbanizzata” sembra quasi non esistere.”
Non sono molte le notizie che circolano riguardo questo paese. Le sue origini sembrano essere molto remote. Il suo nome compare nei capitoli dello stato di Ascoli e Norcia del 7 agosto 1255: Norcia cedeva a favore di Ascoli tutti i diritti che poteva accampare sul castello di Rocchetta. Poi, in una vertenza del 1356, esposta da abitanti del borgo contro un tale Fra Marino, si capisce che Rocchetta e passata da “castello” a “villa”. La Villa dal ‘400 ebbe una crescente fioritura economica poiché risultava, grazie al suo legame con Farfa, membro del monastero di S. Salvatore di Rieti e quindi aveva rendite, proventi, emolumenti e decime. A conferma della ricchezza e del prestigio di Rocchetta nel secolo XV è presente un documento del catasto ascolano del 1458.
Rocchetta in una mappa del 1647 | © Cartografo Blau
Nel ‘500 il paese entra a far parte del “Sindacato di Venamartello” e la sua prosperità si evince dalla presenza di quarantotto fuochi in quanto risulta essere, tra le altre ville, la più ligia ai doveri fiscali.
Sempre a questo periodo risale la costruzione della basilica di S. Silvestro, poco fuori l’abitato. Questa venne innalzata nel 1526, come rivelato dalla data incisa nelle lesene interne, e venne restaurata nel 1947. Da qui proviene la Madonna di terracotta (arte abruzzese del XV secolo) ora custodita alla Pinacoteca di Ascoli. Attualmente è in buone condizioni, ma non è possibile entrare perché le porte sono sprangate. Dentro l’abitato era presente un’altra chiesa (non si capisce bene il nome, molti la chiamano di S. Silvestro confondendola con l’altra) ma è crollata sicuramente pochi anni fa.
A metà del ‘500, iniziano i problemi. Il maggiore di questi è la mancanza di una strada carrozzabile. La questione è documentata in uno scritto ecclesiale del 1571 in cui il Vescovo Camaiani annota di non aver potuto raggiungere la Villa, e quindi non aver potuto effettuare la visita pastorale, perché la strada permetteva solo il viaggio a piedi. Nonostante questo handicap, Rocchetta detiene per anni il ruolo di borgo principale della zona circostante, dove gli abitanti dei centri vicini si trovano addirittura la sera per ballare. A questo va aggiunta una curiosità: per anni Rocchetta era abitata principalmente da donne, ed è stato un punto focale per lo sviluppo di quella impervia zona montana.
Veduta di Rocchetta oggi, nel 2012 | © Nicola Pezzotta 2012. All rights reserved.
Qui sotto vi riporto un articolo, che parla di Rocchetta, scritto di Giuseppe Fabiani apparso in un settimanale cattolico del 1951.
“Alcune frazione dell’Acquasantano, come […] Rocchetta, che si trovano in alpestre località alla sinistra del Tronto, da oltre un anno rifiutano ogni pagamento di imposte perché si ritengono abbandonate, prive […] di ogni confort moderno: strada, illuminazione elettrica ed altro. Non è questa la prima volta, e non sarà l’ultima, [in cui] frazionisti diseredati facciano la voce grossa e si uniscano per indurre le autorità centrali a ricordarsi di loro e a risolvere una buona volta urgenti, quanto annosi problemi, sempre promessi (specie in tempo di elezioni) e mai attuati […]. E’ la sorte, questa delle povere frazioni di montagna: di essere abbandonate da tutti. Passano i secoli, si succedono regioni e partiti, ma la storia è sempre quella.
L’episodio mi fa ricordare altri casi avvenuti quattro secoli fa, negli stessi luoghi.
Rocchetta, […] e altri paesi adiacenti, […] da alcuni anni si erano rifiutati di pagare [le imposte ad Ascoli, da cui dipendevano]; s’ignorano i motivi, ma non saranno stati sostanzialmente diversi da quelli d’oggi […]. Naturalmente gli uomini di questo paese si guardavano bene, data la situazione, di affacciarsi in città perché allora non si andava tanto per il sottile e, a causa delle rappresaglie, ammesse, praticate e da tutti ritenute legittime, c’era pericolo che un innocente andasse a finire difilato in gattabuia solo perché di quei luoghi. E questo capitò proprio ad uno di Rocchetta. Caduto nelle grinfie della Corte, fu sgnaccato dentro e chi s’è visto s’è visto. I suoi compaesani, considerando che le cose prendevano una cattiva piega e stanchi del lungo ostracismo dalla città, cui non potevano accedere “con le loro robecciole per vendere et comperare secondo li bisogni della vita humana” furono costretti a capitolare. Scrissero pertanto una lettera “ai magnifici et potenti sig. […] Di Ascoli”, nella quale si obbligavano di mettersi al più presto in regola col pagamento delle imposte arretrate, purché fosse liberato l’innocente. Naturalmente non si impegnavano, né potevano impegnarsi per gli altri paesi ribelli, che sembra persistettero nel rifiuto. I nostri padri coscritti, memori del vecchio e non mai obliato adagio “divide et impera” non ebbero difficoltà di accogliere la supplica con decreto del 21 ottobre 1520, sicuri che dopo Rocchetta, sarebbero venuti “ad pedes” anche gli altri.
Veduta di Rocchetta oggi, nel 2012 | © Nicola Pezzotta 2012. All rights reserved.
Non era trascorso un quarto di secolo che il fatto si ripeteva. Questa volta Ascoli spedì alcuni commissari con forze ad esigere il pagamento immediato delle imposte. La cavalcata giunse sul luogo, ma trovò gli uomini di Rocchetta barricati nelle case e risolutamente decisi a resistere. I commissari allora, vedendosi in pochi, costrinsero certi Antonio e Battista di Gabriele e Giulio di Giuliano, egualmente di Rocchetta, a prestar loro aiuto. Questi “obtorto collo” si piegarono. Ma i compaesani, proprio contro di essi sfogarono il rancore che sentivano sorgere nel petto e venuti alle mani ammazzarono Antonio e ferirono a morte Battista e Giulio e alcuni loro parenti. I genitori di queste povere vittime presentarono nel 1545 al Consiglio una loro petizione, perché, secondo il consueto, “quelli ch’hanno esposto per amore della città il sangue et la robba” fossero esentati “di tutte le gravezze e imposizioni ordinarie et extraordinarie” sia per il presente che per il futuro. La petizione fu accolta. In tal modo essi riuscirono a raggiungere il loro intento, che era quello di non pagare le tasse, ma a costo del sangue dei loro figli, uccisi o feriti, addirittura, dagli stessi compaesani. Così va il mondo… ossia, così andava una volta.
Oggi, la frazione di Rocchetta, […], ricalca inconsciamente le orme del loro padre. Corsi e ricorsi storici. Qualcuno, specie dopo questa rievocazione, potrebbe credere che i montanari di detti luoghi ce l’hanno nel sangue lo spirito di rivolta contro le autorità. Ma qualche altro, che conosce i luoghi e sa lo stato di desolazione in cui si trovano, pensa melanconicamente che certi paesi sono stati abbandonati in ogni secolo da tutti. Di maestri ne son cambiati parecchi in tutto questo tempo, ma la musica, per essi è rimasta sempre la medesima.”
Possiamo capire subito che il paese, a quella data, era ancora abitato, ma aveva evidenti problemi. Dal ‘500 ad oggi, il borgo ha avuto un lento declino; attraverso un lento e graduale processo di spopolamento, questo paese è rimasto, alla fine, totalmente disabitato, soprattutto a seguito della grande migrazione che ha interessato i piccoli centri montani dalla fine degli anni ’50.
Porta verso l’infinito | © Nicola Pezzotta 2012. All rights reserved.
E’ da un po’ di tempo che si parla di recuperare il borgo; girando per i sentieri si notano diversi tentativi, ma gli edifici continuano a crollare. Se un giorno qualcuno deciderà di farlo rinascere, spero che sia ristrutturato come avrebbero fatto gli antichi abitanti di Rocchetta, cioè in armonia con la natura, senza aggredire il territorio.
Fonti:
Monte Ceresa, guida escursionistica con itinerari di mountain bike – CAI Ascoli Piceno, Provincia Ascoli Piceno, Fondazione Cassa di Risparmio Ascoli Piceno – Anno 2005;
Flash, Enciclopedia Picena, Itinerari nell’ascolano – Mario Stipa – n°256, pg.13, anno 1999;
Il nuovo piceno, settimanale cattolico – Corsi e ricorsi: triste sorte delle povere frazioni di montagna; Tallacano, Rocchetta e altri paesi sulla sinistra del Tronto; la storia si ripete; sangue nel sec. 16.; la musica e sempre quella – Giuseppe Fabiani – n°9, pg.4, anno 1951;
Borgorocchetta.com (sito).