Di giorno bianca di quella candidezza abbacinante che, per non restare accecati, ti fa coprire gli occhi con la mano. Qualche gabbiano urla il suo disappunto per la tua presenza in quel posto. Profumo di resina e pini.
Di notte silente e misteriosa. Civette e gufi cantano e ti scrutano nascosti nella vegetazione della macchia mediterranea. La luce proveniente dall’interno ti spinge ad entrare e nel momento in cui superi la soglia sembra quasi come farsi avvolgere da un caldo abbraccio.
Una cosa, però, è sempre presente in sottofondo, di giorno e di notte. Basta accostarsi alla parete nord. Lo senti?
E’ il rumore del mare. Lì sotto, davvero a due passi da te.
Già solo questo fatto la renderebbe unica, ma c’è molto di più.
“La chiesa, costruita in pietra bianca del Conero, rappresenta un monumento capitale, non solo per le Marche ma per l’intero romanico italiano, in ragione della precocità ma ancor più dell’originalità delle soluzioni. La sua fama è dunque inferiore alla sua importanza”. Parole di Paolo Piva, professore di Storia dell’Arte medievale presso l’Università degli studi di Milano e membro del comitato scientifico della rivista “Arte Medievale”. Non proprio l’ultimo arrivato, insomma.
Ci troviamo all’interno del Parco Naturale Regionale del Monte Conero, istituito nel 1987. La macchia mediterranea che avviluppa l’intera montagna si propaga fin quasi alla spiaggia, dove oggi troviamo l’abitato di Portonovo. Questo luogo si formò, in tempi antichi, da un’antica frana staccatesi dal sovrastante Monte Conero, ma con il passare del tempo la natura riprese il sopravvento andando a ricoprire tutta l’area di quel bosco di pini e corbezzoli che possiamo ammirare tutt’ora.
Portonovo, paese del Comune di Ancona, è diventato uno dei centri più importanti per il turismo balneare di tutte le Marche. Magari non ancora ai livelli di Senigallia e San Benedetto del Tronto per quanto riguarda l’offerta turistica (personalmente spero non ci arrivi mai), ma sicuramente è al di sopra di tutte per la qualità delle spiagge e dell’acqua. Le persone del luogo iniziano ad accorgersi che si può risparmiare e godersi un bel mare anche a due passi da casa: non serve andare per forza in Sardegna (con tutto il rispetto per la Sardegna!). E proprio perché il flusso turistico va sempre aumentando di anno in anno, d’estate evito di andarci perché il caos che si incontra è davvero snervante.
Ma in inverno… tutto sembra tornare com’era nell’epoca in cui erano presenti i monaci. Anzi è meglio dire “quando c’erano SOLO i monaci”! Infatti nel XI secolo, questo era un luogo solitario e silenzioso. A Portonovo c’era solo una costruzione: la Chiesa di Santa Maria e il Monastero annesso.
“Ma quale monastero?” vi chiederete “c’è solo una chiesetta!”. In realtà ciò che vediamo oggi, non è altro che quello che resta di un complesso benedettino anticamente molto più esteso. Purtroppo del monastero e del campanile rimangono solo le fondamenta sul lato nord della chiesa. Sembra davvero impensabile che il monastero fosse situato proprio su quel lato perché neanche a 5 metri troviamo il mare.
La certezza che fosse lì, ancor prima del ritrovamento delle fondazioni, ce la da la presenza di un portale architettonicamente molto importante. Da quell’apertura, infatti, entravano i monaci che dal convento andavano in chiesa per le funzioni religiose.
Negli scavi effettuati, oltre a ritrovare le mura antiche del monastero e il basamento del campanile esterno alla Chiesa, sul lato sud è stata rinvenuta anche un’antica area sepolcrale con quattro tombe di cui una usata probabilmente come fossa comune.
Ma torniamo un attimo indietro, alle origini. Le notizie storiche locali datano la fondazione della chiesa tra il 1034 e il 1048. Lo attestano due documenti: il primo, purtroppo andato perduto, in cui si parla di alcune donazioni per la costruzione di una chiesa di Santa Maria in “novo Porto”; il secondo sembra attestare la presenza a Portonovo di San Gaudenzio nel 1048 che qui morì proprio in quell’anno. Quando San Gaudenzio si fermò in questo luogo parla di un monastero già potente e affermato, supponendo che nel testo in cui si parla del santo si stia descrivendo proprio questa Chiesa di Santa Maria.
Infatti altri autori, come il Piva già citato in apertura, ipotizza che la fondazione della chiesa sia da spostare posteriormente, di almeno 2o anni (1070/1080). Essendo un grande conoscitore dell’architettura abbaziale, il Piva si è orientato verso questa scelta basandosi sullo studio della struttura e di altri edifici simili. Ipotizzando che il documento che colloca la nascita di Santa Maria nel 1034 sia un falso e che nel documento che parla di San Gaudenzio non ci si riferisca a questa chiesa, fa un confronto con due architetture marchigiane stilisticamente vicine: San Claudio al Chienti e San Vittore alle Chiuse. La nascita della prima di queste due, che è la più antica e meno elaborata, viene collocata intorno al 1060; la seconda, anche se molto spoglia ed austera anch’essa, ma molto più dettagliata nelle forme e nelle dimensioni, viene identificata come una chiesa del 1080/1090. Essendo Santa Maria di Portonovo una forma intermedia tra le due, eccolo qua l’anno di fondazione proposto. (In realtà il Piva sposta posteriormente anche le due date di nascita delle chiese di confronto dicendo che sono da collocarsi più avanti rispetto alle date proposte dalla storiografia locale).
Entrando all’interno della Chiesa di Santa Maria “l’atmosfera che si vive è fatta di percezioni e sensazioni” per dirlo con le parole della Ravaglia. La chiesa è quasi inscrivibile in un quadrato ed apparentemente sembra a croce greca, ma non è così. Siamo difronte ad un impianto intermedio tra struttura longitudinale e cruciforme. In pratica la chiesa “è costituita da tre corpi distinti: una “basilica” principale a tre navate e due oratori simmetrici, indipendenti ma collegati alla “basilica” tramite una triplice arcata interna.”
Dal 1938 sull’altare è presente un’icona di Gregorio Maltzeff detta “Madonna di Vladimir”. Di questo dipinto ne parla anche il grande regista russo Andrej Tarkovskij.
“Rapito dalla bellezza delle colline e in genere del paesaggio toscano e sempre alla ricerca di luoghi utili per le sue riprese, Andrej, accompagnato dal produttore cinematografico Franco Terilli, il 3 maggio 1980, dopo aver visitato Loreto, giunge “per caso in un piccolo paesino in riva al mare, Portonovo, in un’antica chiesetta del X secolo. Sull’altare vedo all’improvviso un’immagine della Madonna di Vladimir”. Si trattava della Vladiminskaja ancora presente in Santa Maria di Portonovo, realizzata nel 1938 dal pittore Grigorj Meltsev. Tarkovskij rimane colpito dall’incontro improvviso e non cercato: “Incredibile! Trovare improvvisamente nella chiesa di un paese cattolico un’icona ortodossa, proprio nel momento in cui mi rammaricavo di non aver potuto pregare a Loreto. Non è un miracolo, questo?” E il ricordo di quell’incontro “miracoloso” tornerà più volte tra le pagine diaristiche.”
Dopo la sua fondazione, il monastero crebbe notevolmente e possiamo affermare che all’inizio del XII secolo era già molto influente. Sembra che qui sostò anche San Pier Damiani e questo fatto venne riportato anche da Dante nel canto XXI del Paradiso della Divina Commedia: “In quel loco fu’ io Pier Damiano, / e Pietro Peccator fu’ ne la casa / di Nostra Donna in sul lito adriano”. All’entrata sul lato destro possiamo vedere una targa messa recentemente con riportate le parole del poeta a ricordo del passaggio di San Pier Damiani.
Sempre all’entrata, ma sul lato sinistro, nascosta dai pannelli in cui sono descritti i lavori di restauro della chiesa nel periodo 1988/1996, è incastonata nel muro la cosiddetta “medaglia di San Benedetto”.
Questo è “uno dei più potenti sigilli preservanti dalle ossessioni e dalle possessioni diaboliche. Tramandato dalla tradizione come uno dei più importanti ausili per l’esorcista, riporta, dentro e attorno alla croce, una serie di lettere incise che sono le inziali di questa frase rituale, corrispondenti ad una preghiera così concepita:
Crux Sancti Patrix Benedicti. Crux Sacra Sit Mihi Lux. Non Draco Sit Mihi Dux. Vade Retro Satana. Nunquam Suade Mihi Vana. Sunt Mala Quae Libas; Ipse Venena Libas. I.H.S.
Non sappiamo se il sigillo sia stato impresso lì per qualche motivo particolare ma secondo alcuni esoteristi sembra che il simbolo sia in grado di proteggere la chiesa dall’alone magico tenebroso del sovrastante Monte Conero e dalle forze aggressive del vicino mare”. Inoltre si dice che era prevista un’indulgenza di un anno e quaranta giorni baciando la croce di San Benedetto scolpita nel marmo. A saperlo prima, magari la baciavo anch’io! 🙂
Il mare però, nonostante questo sigillo, ha fatto il suo continuo lavoro di erosione e nel 1320 portò i monaci ad abbandonare definitivamente il monastero, trasferendosi alla Chiesa di San Martino ad Ancona. In realtà non fu solo le distruzioni provocate dal mare; si parla anche di terremoti, frane e scorrerie di pirati e conquistatori.
Proprio questi avventori, e più precisamente i Turchi, attraccarono in queste coste in un giorno di giugno del 1518 incendiando e distruggendo ciò che rimaneva del monastero e della chiesa (che però rimase miracolosamente in piedi).
All’arrivo delle truppe napoleoniche, nel 1808, il monastero era irriconoscibile: solo un cumulo di macerie attestava la sua presenza. Per creare le fortificazioni necessarie alla protezione della costa dai pirati i francesi utilizzarono proprio questo materiale e quello delle sostruzioni a mare che sostenevano e proteggevano il monastero dalle mareggiate.
Da allora rimase in piedi solo la Chiesa di Santa Maria che venne consolidata e stabilizzata grazie all’opera dell’architetto Sacconi nel 1893 (che definì la chiesa “un vero miracolo di armonia […]. Il più completo monumento che decori le rive adriatiche da Ancona a Brindisi”), e restaurata completamente grazie all’intervento del 1988/1996 come detto anche sopra.
Gli anziani di Portonovo ricordano con piacere anche una manifestazione che si svolgeva in questa chiesa: la festa della “Madonna del mare”.
“Il quindici di agosto di ogni anno a Portonovo si svolge la festa della “Madonna del mare”. Secondo i racconti dei più anziani, questo appuntamento religioso si ripete da oltre novanta anni: la processione iniziava dal Poggio, con in testa le confraternite, per terminare alla baia. I fedeli, raggiunta la baia di Calcagno, si imbarcavano su delle barche che, in processione, raggiungevano la chiesa di Santa Maria, dinanzi alla quale veniva deposta in mare una corona d’alloro a ricordo delle vittime dei flutti”.
Ancora oggi si svolge questa processione, ma di dimensioni più modeste. La strada che si fa è la stessa, ma non vengono coinvolte più le imbarcazioni.
Credo che un minimo di interesse per questa struttura sono riuscito a darvela. Ora non vi resta che vederla con i vostri occhi, e per farlo vi lascio i contatti qui sotto.
Buon viaggio!
Info (aggiornamento Luglio 2017):
Per informazioni sugli orari di visita contattate Italia Nostra Ancona (www.italianostra-ancona.org) che dall’Aprile 2017 ha in gestione la struttura per 5 anni.
Fonti:
Pannelli informativi situati in loco
Portonovo: storie di ieri, storie di oggi. | Aldo Forlani | Grafiche Scarponi | Osimo (AN) | 2005&
Il Romanico nelle Marche | Paolo Piva, Cristiano Ceroni | Jaca Book, Banca delle Marche | Trevi (PG) | 2012
Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità delle Marche | Fabio Filippetti, Elsa Ravaglia | Newton & Compton Editori | 2002
http://giornale.regione.marche.it/