“Un alone di mistero circonda la catena dei Monti Sibillini, un’atmosfera incantata vi si respira. Pizzo del Diavolo, Gola dell’Infernaccio, luoghi dai chiari richiami demoniaci ed infernali, preludio di incontri spaventosi ed orridi. Cima del Redentore, Scoglio del Miracolo, Valle dei Tre Santi, luoghi dai distinti riferimenti mistici e spirituali, testimonianza della timorosa e rispettosa devozione popolare. Ed ancora Monte Sibilla, Grotta delle Fate, Fonte del Guerin Meschino, luoghi mitici e fiabeschi. E’ una terra di opposti quella dei Monti Sibillini, una terra popolata da stregoni, fate, negromanti e personaggi misteriosi. E’ una terra dove vivo è ancora il mito della Sibilla Appenninica, dove i racconti e le leggende si rincorrono, intrecciandosi con la storia, fino a fondersi con la stessa nella sottile linea di confine tra fantasia e realtà.”
E’ proprio in questo contesto che si colloca il Lago di Pilato. Situato nel Parco dei Monti Sibillini è l’unico lago naturale della regione Marche e sicuramente uno degli ultimi laghi di origine glaciale rimasti nell’Appennino. A 1949 m di altitudine s.l.m., è collocato in una conca, un circolo glaciale con accumuli morenici segno evidente dei ghiacciai presenti durante l’era del Quaternario. Circondato dalle più alte vette dei Monti Sibillini (Monte Vettore – 2476 m, Punta di Prato Pulito – 2373 m, Cima del Lago – 2422 m, Cima del Redentore – 2448 m, Pizzo del Diavolo – 2410 m) nella stagione del suo massimo invaso è lungo circa 500 m, profondo 15-20 m e largo, nella sua parte centrale, 125-150 m.
Lago di Pilato – Luglio 2006 | © Nicola Pezzotta 2006. All rights reserved
Le sue origini, come abbiamo già accennato, sono da far risalire a circa un milione di anni fa, quando, durante le ultime glaciazioni (Riss e Wurm), la lenta ma inesorabile azione dei ghiacci ha dato un notevole contributo al modellamento del territorio, creando i tipici profili ad U e i depositi morenici. Ultime tracce dell’antico ghiacciaio sono i nevai semiperenni che circondano il laghetto. Data la presenza, nelle zone circostanti, di conche e fosse carsiche si ritiene che la sua origine sia determinata anche dall’azione carsica, oltre che glaciale. Un tempo di forma ovoidale, oggi assume la caratteristica forma “ad occhiali”. D’inverno il lago in pratica non esiste, essendo sostituito da una coltre nevosa, uniforme, della spessore di molti metri.
Lago di Pilato in un inverno particolarmente nevoso. Fonte Corpo Forestale dello Stato di Montemonaco.
Con lo sciogliersi delle nevi, comincia ad apparire il lago che, al momento del massimo invaso, presenta un corpo unico; la lingua morenica è, infatti, in parte sommersa e il laghetto assume la forma precisa di un paio d’occhiali uniti dal sottile ponticello centrale. Col diminuire dell’apporto delle nevi, il livello del lago su abbassa, la morena si scopre sempre più, fino a dividere lo specchio d’acqua in due parti. Tale divisione è più evidente, negli ultimi decenni, a causa del continuo franamento di numerosi detriti provenienti dalle monti circostanti. Inoltre, mancando di immissario il livello delle acque subisce forti oscillazioni estive. L’emissario, invece, è ipogeo. L’unico indizio di questo emissario lo abbiamo in primavera. In questo periodo, ma a volte anche all’inizio dell’estate, è possibile scorgere nei pressi del lago, poco più a valle, la Fonte del Lago, unica fonte di questa valle (oltre alla Fonte Matta ma che essendo “matta” non è sempre presente). Da molti il lago è ritenuto anche la vera sorgente del fiume Aso. Questo fiume mostra il suo corso in superficie solamente da Foce di Montemonaco, per cui si è sempre soliti indicare come questa la sorgente del fiume.
Nella zona circostante le severe condizioni climatiche non permettono la crescita di specie arboree. La vegetazione è quindi costituita da praterie d’altitudine dominate da graminacee quali la sesleria appenninica, la festuca dimorfa e la festuca violacea. Queste praterie si caratterizzano, inoltre, per la presenza di un cospicuo numero di specie floristiche rare ed endemiche, esclusive dei principali rilievi appenninici, come la stella alpina dell’Appennino, il ginepì dell’Appennino, il papavero giallo appenninico e diverse specie di sassifraga.
Leontopodium Nivale (Stella Alpina Appenninica) – Luglio 2005 | © Nicola Pezzotta 2005. All rights reserved
Per quanto riguarda la fauna, invece, troviamo quella tipica degli ambienti di alta montagna. Tra gli uccelli ricordiamo la coturnice, il falco pellegrino, il fringuello alpino, il sardone, il gracchio alpino e quello corallino. E’ inoltre presente la vipera dell’Orsini, una vipera quasi innocua che in Italia è presente solo sulle cime più alte dell’Appennino centrale. Il lago ha una notevole ricchezza di zooplancton pelagico. Nel 1953-54, durante una campagna di ricerche idrobiologiche, organizzata dall’istituto di botanica dell’università di Camerino, fu scoperta la presenza, nel lago, di un crostaceo di una nuova specie. Fu chiamato Chirocefalo del Marchesoni (Chirocephallelus Marchesonii) dal nome dello scopritore. Questo piccolo crostaceo (1 cm di lunghezza) vive qui e in nessun altra parte del mondo. I suoi movimenti sono molto lenti, perciò è facile passargli una mano sotto, mentre nuota, e prenderlo nel palmo. Ma questo sarebbe un errore crudele: il Chirocefalo è abituato alla temperatura della sua acqua, appena sopra lo zero, perciò è sufficiente una permanenza di pochi minuti perché l’acqua trattenuta nel palmo si alzi di pochi gradi, e l’animaletto entri in crisi e muoia.
Chirocephallelus Marchesonii (Chirocefalo del Marchesoni) | fonte: internet
Nel 1990 esso corse un gravissimo pericolo d’estinzione, quando, a seguito di due estati particolarmente siccitose, il lago si prosciugò. Mentre il livello scendeva inesorabilmente, nella frenesia di voler salvare il Chirocefalo, gli esperti formularono alcune proposte, la più praticabile delle quali sembrava fosse quella di trasportare acqua (anzi, cubetti di ghiaccio) con una spola di elicotteri ed aerei. Provvidenzialmente, il progetto non trovò attuazione, perché la diversa temperatura, e il diverso tasso di acidità che avrebbe avuto la nuova acqua, sarebbero stati fatali per il gamberetto. Il lago, dunque, nell’estate del 1990, si prosciugò, e molti viderò in ciò la fine del Chirocefalo.
Lago di Pilato – Estate 1990 | fonte: internet
L’inverno del 1991, invece, fu particolarmente generoso in fatto di precipitazioni nevose, tanto che a Castelluccio di Norcia, alle falde del Vettore, venne misurato uno spessore di ben 14 metri! Con il riformarsi del lago, nella primavera successiva, ecco invece il Chirocefalo balzar di nuovo fuori, più vivo e pimpante che mai. Cos’era avvenuto? Semplice: il Chirocefalo era, sì, morto, ma prima di morire aveva deposto le sue uova, le quali, a differenza del suo proprietario, hanno invece una resistenza straordinaria, tanto da poter resistere fino a due anni di siccità, nascoste sotto i sassi del fondo. Con l’arrivo dell’acqua, le uova si erano schiuse e il gamberetto aveva ripreso a dare fascino al laghetto.
Dal 1990 ad oggi si è avuta anche un altra occasione in cui il lago di Pilato rischio di scomparire. Di realmente pericoloso in questi due periodi è stato soprattutto il can-can mediatico sollevato ed alimentato a vario titolo da personaggi pubblici e privati. Il peggio di sé fu dato dai soliti politici ma anche, ahinoi, da qualche personaggio del mondo accademico.Questi “professori” progettarono una successione di vasche in cemento da collocare lungo la valle; grazie al cielo non se ne fece nulla. Che il lago sia destinato a scomparire è fatto certo: si contraggono i ghiacciai delle Alpi, scompaiono quelli periferici, e il lago incomincerà a prosciugarsi sempre più spesso. Perché quando si parla di emissioni inquinanti, effetto serra, ecc. nessuno sembra preoccuparsi salvo poi strillare indecorosamente quando si manifestano i primi effetti?
Entriamo, ora, nelle leggende che permeano questo luogo. Anzi… ve ne parlerò nel prossimo articolo: Il Lago di Pilato tra storia e leggenda/2! 😉