Un salto indietro negli anni ’60: gli “Affreschi all’aperto” di Montefalcone Appennino | Alessandra Tomassetti

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Veduta di Montefalcone Appennino. Ph: Nicola Pezzotta

Nel dibattito sulla pittura murale sviluppatosi negli anni Trenta in Italia, la voce di Corrado Cagli (Ancona, 23 febbraio 1910 – Roma, 28 marzo 1976), tra i protagonisti indiscussi dell’arte italiana e internazionale, si afferma con sensibilità e rigore sulle pagine della rivista “Quadrante”. Il suo “Muri ai pittori”, scritto nel 1933, si colloca all’inizio della riflessione teorica di quella che diverrà una delle attività maggiormente praticate dal pittore, che dichiarava come per “convogliare le forze della pittura contemporanea” occorressero “i muri, le pareti”, in una visione in stretto rapporto con l’architettura, al centro delle sue esperienze di muralista. In altri scritti dello stesso anno Cagli si interroga sulla natura dell’uomo e del suo relazionarsi con il mondo e non può prescindere dal chiedersi: “Dov’è la fantasia?” affermando che “la fantasia rifugge dagli uomini che vivono la giornata, e nella febbre di essere utili e opportuni non s’accorgono di costruirsi intorno un muro. Su quel muro mille immagini di strade, riviste e cinema e dentro: ragionamenti che si fanno: mille immagini che sono un solo aspetto dell’anima. Dentro al muro, l’opportunità storica: fuori la fantasia dell’infinito” (tratto da E. Crispolti – M. Crescentini, I Tempi di Cagli, 1980 pp. 201-202).

Il muro ci permette di andare oltre e in esso entrambe le componenti individuate da Cagli possono convivere: storia e fantasia, vita e immaginazione; la pittura murale letta quale filtro e riflesso della realtà. Ed è ciò che è accaduto a Montefalcone Appennino, scenario, nel 1963, di una esperienza artistica che ha visto vari pittori confrontarsi nella realizzazione di affreschi dipinti nel centro storico del paese. Un episodio unico nelle Marche, raccontato per il nostro blog dalla storica dell’arte Alessandra Tomassetti, originaria di Montefalcone Appennino, che ha ricostruito attraverso le testimonianze degli artisti e le ricerche d’archivio, questo breve ma affascinante capitolo della pittura murale in Italia. 

 

Un salto indietro negli anni ’60: gli “Affreschi all’aperto” di Montefalcone Appennino

di Alessandra Tomassetti

{xtypo_quote_right} “La pittura murale è la forma più alta, logica, pura e forte di pittura, ed è anche la più disinteressata, perché non può essere convertita in oggetto di lucro personale né nascosta  a beneficio di alcuni privilegiati. Essa è per il popolo, è per tutti”  (Josè Clemente Orozco) {/xtypo_quote_right} 

Montefalcone Appennino, piccolo borgo dell’entroterra fermano conosciuto per la sua ardita posizione di balcone naturale davanti ai Monti Sibillini, nasconde una storia poco nota, che ci riporta indietro al 1963. Passeggiando per il centro storico, a molti saranno saltati agli occhi i “murales” dipinti sulle pareti delle abitazioni, quasi tutti in un precario stato conservativo. Essi sono la testimonianza di “Affreschi all’aperto”, un grande progetto promosso nell’estate del 1963 dall’Ente Provinciale del Turismo di Ascoli Piceno, dall’amministrazione comunale e dalla Proloco di Montefalcone Appennino. La manifestazione consisteva nella realizzazione di “murales” di diverso soggetto, da parte di giovani studenti selezionati da tutte le Accademie di Belle Arti italiane. L’idea dell’evento era stata suggerita dalla piccola località di Arcumeggia (Casalzuigno, VA), dove dal 1956 si teneva la rassegna “Pittori in vacanza”. Grandi artisti della pittura murale quali Achille Funi, Gianfilippo Usellini, Aligi Sassu, Aldo Carpi e molti altri avevano reso il paesino lombardo una galleria d’arte a cielo aperto conosciuta in tutta Italia, contribuendo al rilancio di quella zona, in crisi di spopolamento, tramite il turismo. Così anche a Montefalcone si vuole aumentare il prestigio di un centro in quel momento noto in tutta la regione come luogo di villeggiatura estiva. 

Dopo un’accurata selezione, all’inizio dell’estate del 1963 giunsero dall’Accademia di Venezia Bortolo Fantinato, Anselmo Anselmi, Carlo Pellegatta, da Napoli Pietro Lista (Castiglion del Lago -Perugia – 1941), Tullio de Franco (1934-2011) e Franco d’Auria, da Bologna Giuseppe Landini (Bologna 1938) e Silvia Dalmastri, da Milano Pier Giorgio Ceresa (Corticiasca – Canton Ticino – 1939), Giorgio Cigna (1939-2005) e Vincenzo Ferrari (Cremona 1941), da Firenze Arnaldo Mazzanti e Anna Maria Cerutti, da Bergamo Angelo Pescatori (Brescia 1940) e Anna Maria Pirodda (1938-2011) da Roma.

La stampa riservò grande attenzione ad “Affreschi all’aperto”, esaltato come un interessante laboratorio sperimentale dove vedere confrontante tra loro le varie tendenze dell’arte contemporanea. Da timide prove di astrattismo (Anselmi, Fantinato) a quelle informali (Landini), dalla neofigurazione (Mazzanti, Cerutti, De Franco) anche primitivista (Ceresa, Cigna, Ferrari) fino all’inserzione di veri e propri oggetti (Lista), ogni artista traspose sulla propria porzione di muro una personale lettura dei temi assegnati: il lavoro artigiano e contadino, le stagioni, la caccia, i costumi e le tradizioni locali. La commissione organizzatrice permise una certa libertà creativa, nonostante si riservasse una valutazione preventiva sui cartoni preparatori. Per i giovani pittori fu una grande occasione di espressione artistica, anche considerando che non venne loro addebitata alcuna spesa. Nell’entusiasmo generale, tutti si auspicavano che “Affreschi all’aperto” divenisse un appuntamento annuale, così come ad Arcumeggia, ma l’evento non fu più ripetuto. Di quei mesi di lavoro rimangono documenti e lettere, custoditi nell’Archivio Storico di Ascoli Piceno, e agli anziani montefalconesi i ricordi di scandali, scherzi, episodi che testimoniano una certa atmosfera bohémienne.

Trascinatore del gruppo, nonché l’artista più sperimentale tra quelli ospitati a Montefalcone, è certamente Pietro Lista. Proveniente dall’Accademia di Belle Arti di Napoli, che lascerà dopo il terzo anno, allievo di Mario Colucci ed Emilio Notte, Lista è ancora oggi attivo nel suo studio di Fisciano (SA), e apprezzato a livello nazionale. A Montefalcone rimangono, seppur deteriorati, i murales de “La scenografia per i pipistrelli della torre” e “Il processo”, mentre “La storia del teatro” è stato coperto alla fine degli anni ’90 nell’ambito dei lavori di ristrutturazione del centro storico. 

1 PIETRO LISTA

Fig. 1 Pietro Lista, “Processo-Accusa”, ancora oggi visibile lungo via San Pietro.

2 LISTA Storia del teatro

Fig. 2 Pietro Lista, “La storia del teatro”, oggi scomparso. Il murales si trovava sulla parete del Teatro Comunale, lungo via Roma (foto gentilmente concessa da Pietro Lista).

In “Processo-accusa” Lista presenta un uomo inginocchiato di spalle davanti a cinque giudici: “Non chiede pietà; grida e attende. L’atmosfera che regna nella scena è agghiacciante. La luce gelida dilania i personaggi, li scarnifica, li mummifica. Solo un bonzo, bloccato nel suo mantello, ascolta assorto la confessione di questo morituro. E’ colpevole perché è nato. E’ colpevole perché ha vissuto. E’ colpevole perché ha amato. E’ colpevole perché ha baciato un fiore. E’ colpevole perché noi tutti siamo imbiancati di calce”. “Scenografia per i pipistrelli della torre”, oramai un pallido ricordo di ciò che era cinquanta anni fa, suscitò molto clamore, sia perché di un rosso violento, forte, che disorientava il passante, sia perché il pittore inserì oggetti in ferro in corrispondenza delle persiane. “La storia del teatro”, che sembra evocare i malinconici arlecchini di Emilio Notte, è un’ulteriore prova di stile. L’opera viene spesso ricordata dai montefalconesi perché Lista, sensibile al fascino femminile, ritrasse una ragazza del paese nel personaggio al centro, per poi doverne coprire il viso con una maschera a seguito delle rimostranze della stessa. 

3 LISTA scenografia

Fig. 3 Pietro Lista che dipinge “Scenografia per i pipistrelli della torre” (foto gentilmente concessa da Pietro Lista).

Anche altri artisti presero spunto dal soggiorno montefalconese per i propri murales. Tra questi, i “milanesi” Pier Giorgio Ceresa, Giorgio Cigna e Vincenzo Ferrari, autori de “Le mosche”, il più grande tra tutti gli affreschi realizzati, coperto alla fine degli anni ’90, che si trovava nella piazza antistante il polo museale. Nella parte superiore della composizione appare un prelato attorniato da fedeli, e ai lati, come in una sorta di Giudizio Universale, singolari figure di dannati quasi gaudenti. Al centro è ritratto il gruppo degli artisti, seduti intorno al tavolo dell’albergo presso cui sono ospiti. La scena è riferita alla protesta da loro inscenata la sera di ferragosto per la lentezza del servizio, nonché per la poca igiene del locale (a cui alludono le mosche). Lo stile è ricercatamente naïf: “tutto è costruito sulla semplice intuizione delle emozioni raffigurate e sul carattere istintivo dell’esecuzione…D’altra parte intuito ed istinto costituiscono anche i caratteri fondamentali di tutta la grande arte dei primitivi”. Con intento polemico verso l’albergatore, i ragazzi ne inscenarono addirittura il finto funerale portando in processione un sarcofago vuoto per il paese, tra l’ilarità generale. 

4 FERRARI CIGNA CERESA Le mosche

Fig. 4 Pier Giorgio Ceresa, Giorgio Cigna e Vincenzo Ferrari, “Le mosche”, affresco all’epoca censurato e al centro di alcune polemiche. Oggi scomparso, si trovava in Largo Felici, la piazza antistante il polo museale (foto gentilmente concessa da Pier Giorgio Ceresa).

5 Ceresa Le mosche

Fig. 5 Pier Giorgio Cerasa a lavoro nell’affresco “Le Mosche” (foto gentilmente concessa da Pier Giorgio Ceresa).

6 Cigna Le mosche

Fig. 6 Vincenzo Ferrari e Giorgio Cigna mentre lavorano a “Le mosche”, oggi scomparso. Cigna si era diplomato a Brera in quell’anno studiando affresco con Achille Funi e Gianfilippo Usellini, scultura con Marino Marini. Scriveva di quegli anni: “Eravamo pochi, affiatati, con in testa idee chiare; l’arte e l’amicizia. I contatti umani proseguivano intensi all’uscita dell’Accademia, voluti dagli insegnanti come esperienze indispensabili di vita artistica” (foto gentilmente concesse da Pier Giorgio Ceresa).

Anche il sindaco Gaetano Bartolozzi si scontrò con il carattere irriverente dei giovani artisti. In vista della grande cerimonia pubblica prevista per il 18 agosto per accogliere il cardinale Fernando Cento, il primo cittadino si era preoccupato delle scene di nudo che il prelato avrebbe visto passando davanti all’affresco dei tre milanesi. Aveva quindi invitato Pier Giorgio Ceresa a cancellare le parti intime dei due amanti abbracciati sul fieno (coperte dipingendovi dei fiori), e, non contento, fece collocare due bandiere davanti alle parti ritenute più “spinte”. La risposta degli artisti alla censura fu immediata: il paese si svegliò il giorno dopo con i muri coperti di scritte inneggianti l’amore e la libertà, ritenute dai giornali “molto più valide di tanti appelli fatti di retorica demagogia

7 Censura Le mosche

Fig. 7 Parte dell’affresco de “Le Mosche” fatto censurare dal sindaco di Montefalcone Gaetano Bartolozzi in previsione della visita del cardinale Fernando Cento il 18 agosto 1963 (foto gentilmente concessa da Pier Giorgio Ceresa).

Qui sotto il video della visita del Cardinale nell’estate del 1963 dove sono visibili i murales appena realizzati, e le parti “censurate” in “Le mosche

Altri artisti preferirono raffigurare soggetti più vicini al sentire popolare, adottando uno stile serenamente figurativo. Riscossero un notevole successo “Vita paesana” del napoletano Tullio de Franco, posto all’ingresso del paese e ancora visibile, che ritrae alcuni abitanti di Montefalcone, e “La società industriale” di Angelo Pescatori, dove i personaggi, che appartengono a un mondo ancora contadino, sembrano quasi aggrediti dalla fabbrica che si staglia alle loro spalle. Un tema ispirato da un sogno-incubo fatto dall’artista, e giocato su un contrasto quasi pasoliniano passato-presente molto sentito all’epoca. La stampa elogiò la “semplicità poetica” e il “vigore espressivo” della composizione.

8 DE FRANCO Vita paesana

Fig. 8 Tullio de Franco, “Vita paesana”, uno degli affreschi che riscosse maggior successo (foto gentilmente concessa dal Comune di Montefalcone).

9 Pescatori

Fig. 9 Cartone preparatorio dell’affresco di Angelo Pescatori “La società industriale”, oggi quasi del tutto scomparso. Scriveva l’artista da Montefalcone: “Carissimi genitori, […] la gente che qui ha avuto la casa affrescata dagli altri la sento mormorare da sopra il ponteggio, perché li avrebbe voluti più leggibili, cioè simili al mio. Certo è difficile fare dipinti astratti in un ambiente antico e ancorato alle proprie tradizioni” (foto gentilmente concessa da Angelo Pescatori).

Anche i due artisti dell’Accademia fiorentina, tutt’ora in attività come pittori e storici dell’arte, Arnaldo Mazzanti e quella che da lì a poco diventerà sua moglie Anna Maria Cerutti, si dedicarono a scene religiose e popolari, apprezzate dal pubblico per la loro chiarezza narrativa. Oltre alla Cerutti, parteciparono ad “Affreschi all’aperto” altre due donne: dall’Accademia di Belle Arti di Roma, allieva dell’artista Luigi Montanarini, Anna Maria Pirodda, autrice de “La società operaia” e Silvia Dalmastri, dall’ateneo bolognese, autrice della scomparsa “Caccia con il falcone”, uno dei temi consigliati dalla commissione e giustificati dal legame da sempre esistente tra Montefalcone e questo affascinante rapace. Se la prima utilizza una pennellata liquida, la seconda predilige i segni angolari, dimostrando entrambe una personale ricerca stilistica in linea con il clima sperimentale dell’epoca.

Pirodda la società operaia

Fig. 10 Anna Maria Pirodda “La società operaia”.

silvia dalmastria caccia col falcone

Fig. 11 Silvia Dalmastri “Caccia con il falcone”, oggi scomparso (foto gentilmente concesse dalle famiglie delle artiste).

Un po’ come Alberto Sordi alla Biennale di Venezia, anche i montefalconesi subirono una sorta di shock davanti a questi affreschi così lontani dalla loro idea di “arte”. Scrivevano i giornali: “Erano stati col capo in su sotto il primo pittore che era arrivato, ed avevano seguito l’artista nelle sue evoluzioni aeree. Lo avevano seguito mentre quello macinava colori; mentre –campato in alto- segnava, spolverava, stemperava, tinteggiava, sfumava. Poi ne era venuto fuori qualcosa che non si capiva bene. Le simpatie si affollarono allora sul secondo artista. Ma questi peggio che andar di notte: la sua pittura apparve più straordinaria di quella del primo artista. Poi gli altri: sembrava che lo facessero apposta: non si capiva niente. Anzi, qualcosa si capiva, ma quel che si capiva talvolta era irripetibile. E così Montefalcone Appennino si trovò al centro di una polemica ad altissimo livello, ad oltre 700 metri sul livello del mare. Quelli che hanno studiato, che sono avvezzi alla critica e all’estetica spiegarono e spesso convinsero. Il sindaco se la rideva. Gli ospiti colti apprezzarono assai l’iniziativa. I pittori si divertirono […]. Montefalcone Appennino risulta più singolare, più attraente, più viva.” (Il Resto del Carlino). 

10 LANDINIl incidente

Fig. 12 Una donna del paese interrogò il pittore Giuseppe Landini su cosa raffigurasse la sua opera. L’artista rigirò la domanda chiedendo cosa ci vedesse lei. «Sembrano le ossa rotte dopo un incidente» «Allora si chiamerà “L’incidente”». La posizione del murale, posto sotto un balcone, ne ha notevolmente rallentato il processo di degrado. Ad oggi è l’affresco meglio conservato, visibile lungo via San Pietro (foto gentilmente concessa da William Liberatori).

Nonostante alcuni tentativi fatti dalle passate amministrazioni per provvedere al restauro di queste opere (argomento che qui tralasciamo ma che meriterebbe una trattazione specifica), ad oggi il destino che le attende sembra essere quello di una inesorabile e silenziosa scomparsa. Molti degli artisti da me intervistati dopo cinquant’anni non se ne sono particolarmente rammaricati. Ricordano l’esperienza di Montefalcone come si ricorda la giovinezza; in una dimensione da sogno, quasi irreale, legata a un tempo che non c’è più. La scomparsa delle loro opere non sembra intaccare in nessun modo il valore sentimentale che attribuiscono a quel soggiorno giovanile, per molti di loro l’inizio di un’attività artistica che li ha accompagnati o accompagna tutt’ora. E’ a noi allora che spetta forse il compito più duro. Quello del confronto con la realtà, tutelando e valorizzando la sostanza di quel poco che resiste, sbiadito, sulle pareti delle casupole di Montefalcone, perlomeno attraverso la documentazione storica e, forse, una qualche vicinanza emotiva.

 “Gli abitanti, superata la novità e la presenza di questi “ragazzi” giunti a rompere la monotonia del tranquillo paesino, sono rimasti a loro affezionati. All’interno delle loro abitazioni che hanno ancora la lucente raccolta di rami in cucina, qualche maggiolino in camera da letto e il canterano di ottocentesca fattura, vivono ancora l’atmosfera di una serenità bucolica oggi perduta dal mondo contemporaneo, ma appena escono dal loro portoncino, ecco sulla parete squarci di colori e di forme da era spaziale!” (Il Messaggero di Ascoli, 26 ottobre 1963).

 

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