Eremo di Monteluco, cella francescana, Spoleto (PG), Umbria| Ph: Fabiola Cogliandro
Sin da quando ero bambina, nelle belle e calde giornate d’estate, mia nonna mi portava su un monte, per fare una passeggiata nei boschi, per vedere da lassù tutta Spoleto, per dire una preghiera nel piccolo santuario. Ma non era un monte qualsiasi. Quei lecci secolari che attraversavamo cercando ghiande e piccoli ramoscelli, quei sentieri appena tracciati che percorrevamo per arrivare dalle pendici fino alla cima della montagna, erano stati attraversati nel corso del ‘200 da San Francesco d’Assisi che elesse questo luogo impervio e romito a santuario dove ritirarsi in solitudine in compagnia di un ristretto numero di frati.
Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Monteluco, che si innalza per circa 850 metri s.l.m. a pochi chilometri da Spoleto, era noto ai monaci siriani eremiti del V-VI secolo, chiamati “Eremiti della Congregazione del Monteluco di Spoleto”, e sin dall’antichità le fonti ricordano l’importanza assunta dal lucus, il bosco sacro, tutelato e protetto con la Lex Luci Spoletina redatta nel III-II secolo a. C., che, per il suo contenuto (vietava il taglio degli alberi nei boschi sacri del territorio spoletino), è considerata la prima legge forestale. Una strada asfaltata permette di arrivare agevolmente in macchina al santuario francescano ma risalire per il primitivo percorso oggi inserito nella “via Francigena di San Francesco”, lasciandosi alle spalle il celebre Ponte delle Torri, consente di immergersi nel fascino di una natura incontaminata.
Grotta di San Francesco, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Celle francescane, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Da antico luogo di culto Monteluco si afferma come dimora spirituale dei francescani a seguito del loro primo insediamento nel 1218, quando i monaci benedettini di San Giuliano, ai quali apparteneva l’intera montagna, donarono a San Francesco la piccola chiesa di Santa Caterina. Appena un anno prima, nel 1217, San Francesco aveva dato inizio alla stesura della “Regola per coloro che vogliono vivere negli eremi” e la grotta naturale all’interno del santuario, adattata a cappella e ricordata dalla tradizione come la Grotta di San Francesco, dovette essere il primitivo nucleo dell’insediamento. L’intera montagna era posta sotto clausura e le donne potevano accedervi solo in determinate festività. Non sappiamo perché San Francesco scelse proprio questo luogo per ritirarsi in solitudine dalle sue frequenti missioni, di certo fu a Spoleto che a cavallo tra il 1204 e il 1205 ebbe il primo richiamo verso la fede, quando ventiquatrenne in veste di cavaliere si apprestava a raggiungere la Puglia per arruolarsi nella quarta crociata ed accampatosi per la notte ricevette in sogno la rivelazione. E da quel giorno la sua vita cambiò per sempre.
Corridoio celle francesscane, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Celle francescane, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Cella francesana, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Cella francescana, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Oltrepassata l’entrata del santuario con il cortile circondato da edifici Quattro-Cinquecenteschi, su cui torneremo più avanti, e un secondo modesto cortile interno con il Pozzo di San Francesco, cosiddetto per via dell’acqua che il santo vi fece miracolosamente sgorgare, arriviamo sulla soglia di uno stretto corridoio con le celle francescane, l’ambiente forse più suggestivo dell’intero eremo. Attorno alla chiesa di San Caterina il santo costruì sette cellette usando solo vimini e calcina, piccole stanze di due metri per due, spoglie di ogni arredo, in fila una accanto all’altra appena illuminate da anguste finestre. È questo il primo nucleo dell’Eremo francescano, dove i frati si ritiravano, lasciando ad altri le grotte solitarie frequentate sin dal loro arrivo e che ancora oggi possiamo vedere inoltrandoci nel bosco. Il nostro sguardo scruta ogni singola cella, pur sapendo che in definitiva devono esser tutte uguali: una tavola per giaciglio, pochi oggetti poggiati sul pavimento, porte in legno consumate dal tempo. Eppure continuiamo ad indagare, arrivando fino in fondo, perché il tempo sembra essersi fermato al 1200 ed ogni stanza racchiude in sé una storia. Queste celle furono, infatti, abitate da diverse figure di santi e beati che qui vissero per lunghi o brevi periodi nel corso dei secoli: San Bonaventura (1217/1221-1274), S. Antonio di Padova (1195- 1231), S. Bernardino da Siena (1380-1444), il beato Paolucci Trinci da Foligno (1309-1391), il beato Leopoldo da Gaiche (1732-1815) e molti altri nomi meno noti. A San Bernardino da Siena è dedicata la cappella posta a sinistra dell’entrata all’eremo, eretta pochi anni dopo la sua morte in memoria del suo operato; una seconda cappella, trasformata in piccolo oratorio, era invece dedicata a Sant’Antonio di Padova che fu ospite dell’eremo nel corso del suo viaggio verso la Sicilia nel 1221 e al cui nome è legata una delle Grotte più impervie dislocate nel bosco. La presenza di Sant’Antonio a Monteluco acquista inoltre un significato particolare perché fu proprio nella Cattedrale di Spoleto che il santo venne canonizzato da papa Gregorio IX il 30 maggio del 1232.
Cappella di San Bernardino da Siena, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Chiesa cinquecentesca, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Sempre all’entrata dell’eremo nel cortile troveremo sulla destra una chiesina cinquecentesca, che, oltre ad accogliere negli armadi in noce le seicento reliquie donate dal papa Urbano VIII Barberini, già vescovo di Spoleto, si distingue per la cappella dedicata al beato Leopoldo da Gaiche morto nel 1815 e beatificato nel 1893. Leopoldo da Gaiche, nato nel 1732 nei pressi del Lago Trasimeno in provincia di Perugia, fu un grande predicatore e una delle figure più importanti del francescanesimo al quale diede forte impulso nel corso dei secoli XVIII-XIX. A lui si deve la fondazione del Ritiro di Monteluco nel 1788, rivolto ai religiosi e ai predicatori della Provincia che volessero “ritemprarsi nello spirito” seguendo regole più rigide.
Grotta di Sant’Antonio di Padova, Bosco sacro, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Belvedere Grande, Bosco Sacro, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Oggi come allora la sacralità del bosco sembra essersi mantenuta intatta, e non ci resta che attraversarlo alla ricerca delle Grotte, piccole e strette, ricavate in aspri speroni di roccia, dedicate ad illustri figure di santi, tra i quali come già indicato Sant’Antonio di Padova e San Bernardino da Siena, che qui si ritiravano in completa solitudine. Dal Belvedere Grande, possiamo inoltre ammirare la Valle spoletana (in questo caso si dice spoletana e non spoletina), con l’abitato di Spoleto, la Rocca, il Duomo, il nucleo del centro storico, circondato dal verde dell’ampia valle. Un così vasto panorama segnò profondamente l’animo di San Francesco il quale esclamò le parole che ancora leggiamo trascritte su una parete del Belvedere: “nil iucundius vidi valle mea spoletana”, nulla di più bello ho visto nella mia valle spoletana.
Valle spoletana, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro
Valle spoletana, Eremo di Monteluco, Spoleto (PG), Umbria | Ph: Fabiola Cogliandro