Anno 1995, passeggiando per il Pian Perduto nei pressi di Castelluccio di Norcia alcuni pastori notano qualcosa di strano. Un laghetto, formatosi su un avvallamento carsico, dei numerosi presenti in questa zona, si è tinto completamente di rosso. Un rosso scarlatto. Un rosso “sangue”.
Lo Stagno Rosso nel 1995 | © Ettore Orsomando
Ai pastori saranno venute sicuramente in mente le storie che aleggiano in questo luogo. Storie di baruffe, di litigi e di guerre. Dico che conoscono la storia perché è stato proprio uno di loro a tramandarcela nei secoli. Un pastore, infatti, scrisse il poemetto conosciuto come “la Battaglia del Pian Perduto”.
“…vi voglio dire come fu quel prato
pieno di morti e insanguinato.”
Dobbiamo fare necessariamente un salto indietro.
Pian Perduto, al confine tra Marche e Umbria, nel mezzo del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Un tempo non si chiamava Pian Perduto; forse non aveva un nome vero e proprio. Alcune volte veniva definito come “Pian Piccolo” mentre, in realtà il vero Pian Piccolo è quello collocato più a sud dei tre piani principali di Castelluccio.
Il Pian Perduto da Castelluccio di Norcia | © Nicola Pezzotta 2009. All rights reserved.
Dai documenti presenti negli archivi storici si vede subito che tra Visso e Norcia non scorre buon sangue. Questo già dal XII secolo e per i soliti motivi di confini. Il comune di Norcia arrivò anche ad istituire, nel 1346, un reparto tra le montagne fatto di cittadini e contadini che controllasse il territorio di confine di Norcia. Infatti Visso, in quel periodo, si faceva sempre più intraprendente acquistando territori al di là dei suoi confini. Gli ultimi “avamposti” erano da una parte Gualdo (territorio di Visso), e dall’altra Castel Precino, oggi Castelluccio (territorio di Norcia). In mezzo il Pian Perduto, da tutti agognato.
Il Pian Perduto in abito invernale dalla Forca di Gualdo | © Nicola Pezzotta 2011. All rights reserved.
Gli anni si susseguono e le due città passano da momenti di dure lotte a tregue molto brevi. Per un periodo Castelluccio risulta addirittura essere in possesso dei Varano (quindi dei vissani) intorno al 1420. Le baruffe si fanno sempre più aspre fino alla fatidica data del 20 Luglio 1522.
La storia narra della battaglia combattuta sul Pian Perduto tra 6000 norcini e 600 vissani e di come la vinse Visso, nonostante l’inferiorità numerica. Ma i documenti dell’epoca sono molto lacunosi e non permettono una ricostruzione esatta ed equanime dell’accaduto.
Un giorno, però, girando per mercatini, mi imbattei in questa versione in prosa di “pastore poeta” anonimo. Poeta e pastore. Due parole che oggi sembra strano sentire vicine. Un tempo (‘700/’800), invece, da queste parti, era frequente trovare dei pastori immersi nella lettura di questo libricino o di altri libri come “La Divina Commedia” e “La Gerusalemme Liberata”. Leonardi ci fa un affresco di cosa vuol dire essere pastori nel 1913:
“Quando si arriva in mezzo a questi pastori che dividono la vita fra la solitudine della campagna romana e quella delle cime dell’Appennino, si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad uomini superiori per la serietà di carattere e fermezza di propositi. Il pastore è silenzioso, taciturno, sereno dinnanzi alla morte come un filosofo stoico, religioso, di un sentimento semplice in diretto contatto con il mistero infinito della vita. Non turbati e travolti dal turbinio vorticoso dell’esistenza moderna, i pastori traggono i loro piaceri da sensazioni semplici che affinano i sentimenti”
Il “poemetto storico”, non è di facile attribuzione e datazione. A quanto sembra è stato realizzato a due mani: la prima parte a cura di un tal Berrettaccia di Valleinfante (periodo sconosciuto); la seconda parte da un sacerdote in un epoca successiva (inizi ‘800).
Lo scritto inizia introducendo i luoghi dove avvengono i fatti, come Castelluccio di Norcia,
“Sotto a Vetore v’ha un piccolo castello
Da zencari fonnato senza fallo,
Che de neve continua gli ha un mantello
E manco ad Agosto ce se sente callo;
Da man destra e sinistra è un piano bello
Che quanto val nissun po’ mai stimallo:
Solo ci manca il diletto d’Apollo
Perché ce passa il sole a rompicollo.”
la Val Canatra, dove tutta la storia ebbe inizio,
“Circa un miglio lontan tra piano e costa
V’ha di faggi una selva spessa e vasta
Dove capra e torel giammai s’accosta
Che qualche tronco non recìta o guasta:
Cànetra ha nome. Un guardiano apposta
Sempre ci sta che coi vicin contrasta
E per il fuoco sol riserva questa
Quando che il freddo maggior li molesta.
Tal’è la selva che si chiama Cànetra:
Raggio di sol giammai per essa penetra,
Ce si spenna a volar aquila ed anetra,
E la gente la qual dentro si penetra
Bisogna ben che l’armi sempre ismanetra,
Come faceasi tra Viterbo e Fenetra,
Convien che stia da tai perfidie attenta,
Perché se no di se male argomenta.”
e un rifermento sulle origini di Norcia.
Mappa dei luoghi in questione
Si nota subito che, colui che scrive, è dalla parte di Visso. Riferendosi agli abitanti di Norcia, che secondo la leggenda è stata fondata dagli Ebrei, e Castelluccio, come si diceva in precedenza, fondata dagli zingari, dice:
“Or tu che quivi leggi e dotto sei
Dhe! Considera un po’, pensa, se ‘el sai,
A mescolà li zencari e li Ebrei
Se che progenia ne po’ riusci mai.
Io mi starebbi pe li fatti miei
Non gerendo cercando affanni e guai,
Ma senza fallo ben direbbi a vui
Che so’ di trista razza tutti e dui.”
Mi sembra chiaro, non pensate?
Il Pian Perduto, Castelluccio di Norcia e la Val Canatra dal Monte Palazzo Borghese | © Nicola Pezzotta 2007. All rights reserved.
Il bosco della Val Canatra era presidiato dai norcini per evitare che gli alberi venissero “rubati” dai vissani. E’ proprio questo, secondo il pastore, anche se non ne ritroviamo tracce nelle cronache dell’epoca, a scatenare la battaglia. Infatti, un tal di nome Giorro, a causa della rottura di una treggia, penetra nel bosco per prendere un legno da plasmare e formare un pezzo da sostituire a quello rotto:
“E con gran prescia pigliata un’accetta
Alla selva di Cànetra già in fretta.
Va nella selva et ivi un faggio taglia
(E la necessità ce lo consiglia,
Ché avia da carreggià quel po’ di paglia
Per allevà se stesso e la famiglia!)”
Ma viene scoperto proprio da un guardiano del bosco che prima lo minaccia, e poi gli chiede di pagare il “legno”. A questo Giorro si scalda e:
“Lo buttò a terra come un pero mezzo,
Li dicia: “O tu ti fermi o ch’io t’ammazzo…
Io le tue ingiurie più soffrir non pozzo…
Noscino, fermo li, se no ti strozzo…””
E giù botte. Alla fine il guardiano riesce a scappare e a tornare a Norcia, dove racconta tutto e fa montare, tra gli abitanti, la furia per l’accaduto. Dopo dieci giorni dal fattaccio, morì la sentinella del bosco facendo “terra per lo cece”. Fu l’ultima goccia che fece traboccare il vaso. Armatisi, i norcini si avviano a fare giustizia, ognuno con i mezzi propri:
“Chi piglia allor lo spito, e chi la spada,
Chi la schioppetta sua fatta alla moda
(E se gli è carca o no neppur s’abbada;
Di gi alla pugna sol par che si goda)”
Il primo che incontrano è un contadino e lo massacrano di botte. Ma intorno parecchi vedono cosa accade e prendendo gli arnesi del lavoro si buttarono a dare mazzate ai norcini che fuggirono “tutti dolenti, miseri e tapini” dentro le mura della città di Castelluccio.
Uno dei norcini corre a Norcia a chiamare rinforzi che non tardano ad arrivare. All’alba i vissani si trovano di fronte “tanta gente” e “di contrastar non han forze bastante”. Nel frattempo, anche loro, sono andati a chiedere rinforzi a Gualdo, Nocria, Castello, Nocelleto e Ussita, dove trova anche l’appoggio del capitano e del suo seguito.
Le “truppe” iniziano a ammassarsi sia dal lato di Visso che da quello di Norcia. I norcini arrivati in cima alla val Patina mirano verso i piani e
“Disse Arbillo ai norcin: “Come di fieno
Questo prato sarà di morti pieno””.
Arrivati a Castelluccio, i norcini, e tutti i castelli limitrofi, si avviano al luogo della battaglia. Al vedere tanti combattenti scendere al piano, “il drappel vissano dallo spavento fu tosto ripieno” e fecero per tornare verso Visso senza combattere, quand’ecco arrivare in aiuto i soldati di Montemonaco, Montegallo e Montefortino. Nonostante fossero ancora inferiori di numero, questi infusero ai vissani coraggio e ritornarono a serrare i ranghi verso la battaglia.
Alla fine inizia lo scontro e la differenza, secondo il poeta, la fa Santa Margherita. Infatti
“Quando il Governator vidde sfilare
L’armata de’ norcini inferocita
Alli soldati tosto fe’ piegare
Amendue le ginocchia e unir le dita,
Di S. Margherita fe’ invocare
Il nome illustre e rammentar la vita,
Onde ognun ripetea queste parole:
“Dhe, santa, aiuta noi e la nostra prole””.
“E Mentre Visso in Margherita ha fede,
Norcia in Bacco suo Dio confida e crede”.
Sta qui il fulcro del poema. Visso vince, anche in inferiorità numerica proprio perché ha fede nei santi a differenza di Norcia, il cui popolo è sceso in battaglia già inebriato dai fumi del vino.
Il Pian Perduto in inverno | © Nicola Pezzotta 2011. All rights reserved.
Si capisce da come è scritto che questa ricostruzione caldeggia per una parte. Il poema non solo parteggia chiaramente per Visso, ma nell’ultima parte, scritta, si pensa, da un prelato, dà il merito della vittoria alla fede cristiana.
In realtà le cose non si sa come andarono esattamente. Quello che resta è, appunto, la toponomastica del luogo. Da quel giorno quel piano si chiamò Pian Perduto, perché perduto in battaglia da Norcia. Attualmente quasi tutto il piano è territorio marchigiano. Il confine passa proprio nel punto in cui c’è il laghetto o Stagno Rosso.
Ma torniamo al laghetto e ai suoi misteri… anzi, ve ne parlerò nel prossimo articolo (Il lago “insanguinato” e la Battaglia del Pian Perduto/2)!
Fonti:
Lo stagno rosso del Pian Perduto. Parco Nazionale dei Monti Sibillini – Ettore Orsomando; Antonio dell’Uomo – L’uomo e l’ambiente 24 – Camerino 1997;
La Battaglia del Pian Perduto. Poemetto storico pubblicato per la prima volta con introduzione e note a cura di Pietro Pirri – Pietro Pirri – Prem. Stab. Tip. Giuseppe Campi – Foligno 1914.