La mantica Religiosa con l’albume e la festa di San Giovanni

Foto di Simona Pezzotta

La mantica amorosa con l’albume | Foto di Simona Pezzotta

Si sa, gli anni passano e la società cambia.
Un tempo, molto più di quanto accade oggi, le fanciulle in età da marito aspettavano con impazienza il momento del matrimonio, un evento incoraggiato e fortemente desiderato anche dalle famiglie.

Quelle ragazze che sognavano il matrimonio ma un fidanzato ancora non l’avevano, giocavano ad immaginarlo, a dare lui un volto, nelle campagne marchigiane.
Ricorrendo a pratiche divinatorie di antica tradizione popolare, le giovani donne marchigiane cercavano di indovinare quando il lieto evento si sarebbe verificato, chi sarebbe stato il loro futuro marito e quale il mestiere svolto. Il desiderio era quello di sapere in anticipo come avrebbero vissuto, di svelare cosa il destino avesse in serbo per loro.

Queste operazioni divinatorie, tramandate da generazione in generazione, erano note con il nome di mantica amorosa.

La mantica amorosa era un’arte declinata al femminile.
Donne erano le destinatarie della predizione, donne coloro che indovinavano.
Consisteva nella capacità di prevedere il futuro amoroso della persona di riferimento, attraverso la lettura e l’interpretazione di segni ed indizi premonitori. Un’abilità, quella interpretativa, in mano a donne esperte, in genere le più anziane della casa.

Le forme di mantica amorosa erano tante e diverse tra loro. A volte una stessa mantica poteva presentare caratteri di diversità passando da una comunità all’altra.
Facevano impiego, principalmente, di oggetti d’uso quotidiano nella società di un tempo: le fave, i chicchi di grano o quelli di granturco, le foglie di fico, le “pianelle” ovvero le ciabatte, le uova.
Proprio quest’ultime, le uova, sono le protagoniste di una mantica amorosa che la mia bisnonna Matilde, nata sul finire dell’Ottocento e vissuta in un paesino dell’alto maceratese, insegnò alle sue nipoti. Attraverso loro, poi, è giunta a me. E’ la mantica con le uova e l’acqua.

Foto di Simona Pezzotta

Le velature | Foto di Simona Pezzotta

Tutto si svolgeva nella notte del 23 giugno, vigilia della festa di San Giovanni Battista.
Le ragazze in età da marito ponevano fuori, all’aperto, un recipiente colmo d’acqua al cui interno avevano versato un albume d’uovo. Il giorno seguente, al mattino, il recipiente veniva delicatamente ritirato ed esaminato. Si osservavano le velature, quelle forme fluttuanti che l’albume, durante la notte, aveva formato nell’acqua e si procedeva alla loro interpretazione.

Se a formarsi era il profilo di una “vela”, significava che un matrimonio era alle porte e che prossimo sarebbe stato il distacco della giovane sposa dal suo nucleo famigliare.
La “vela” era un segno di buon auspicio, di buona fortuna. Pronosticava il viaggio, l’allontanamento dal luogo natale. Significava che la giovane donna avrebbe viaggiato, magari andando in sposa ad un giovane di un altro paese o che sarebbe emigrata, specie durante il periodo delle grandi migrazioni.
Sulla costa, tra i pescatori, la “vela” presagiva un fidanzato marinaio.

Un matrimonio con un marinaio o con un pescatore della costa Adriatica era quanto pronosticato da un albume a forma di “barca”.
Se a formarsi era il profilo di una “zappa”, prossimo sarebbe stato un matrimonio con un contadino. L’”incudine”, invece, pronosticava un marito fabbro, “penna e libro” un marito colto.

Se l’albume aveva assunto una grossa forma, come quella di un palazzo, allora la giovane donna era fortunata perché il futuro marito sarebbe stato ricco.
Al contrario, se l’albume d’uovo rimaneva ravvolto su sé stesso il marito che sarebbe toccato in sorte sarebbe stato povero.
In altre località marchigiane il racchiudersi dell’albume su sé stesso assumeva un significato ben diverso, di buon augurio. Veniva interpretato come un abbraccio e pronosticava un vicino matrimonio.

Se disgraziatamente la forma assunta era quella di una “bara”, allora si preannunciavano avvenimenti infelici e dolorosi.

Anche la mamma di Lucilla, originaria di Penna San Giovanni, da giovane praticò la mantica con l’albume.
Mia madre”, così racconta Lucilla, “mi disse di essere rimasta un po’ stupita perché gli era uscita una cosa informe e non riusciva ad attribuirgli un significato. Poi ha sposato mio padre che fa il meccanico e, ridendo, mi diceva sempre: “ci dovevo pensare perché sembrava tutto ferraccio e filamenti

 

PICCOLA APPENDICE D’APPROFONDIMENTO

In alcune località marchigiane la notte deputata alla pratica di questo particolare metodo mantico era la vigilia dell’Ascensione anziché quella della festa di San Giovanni Battista.
Le ricerche antropologiche condotte da Mario Polia hanno mostrato come la mantica amorosa con l’albume fosse una pratica ampiamente diffusa anche in territorio abruzzese.

Foto di Simona Pezzotta

Le uova, ingrediente protagonista di questo metodo mantico | Foto di Simona Pezzotta

FONTI ORALI
Un grande grazie a Rita Ciarlantini, la mamma, ed a Federica Ciarlantini per aver riportato alla memoria preziosi momenti di storia familiare.
Un ringraziamento speciale a Lucilla Cervigni per aver condiviso con tutti noi i suoi ricordi.

BIBLIOGRAFIA
Mario Polia, L’aratro e la barca. Tradizioni picene nella memoria dei superstiti, Edizioni Librati 2012

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