PRIMAVERA SILENZIOSA / 2
Ovvero come la Provincia di Ancona sparge insensatamente veleni e morte lungo le strade
“CRESCITA” CONSUMISTICA O IN ARMONIA CON LA NATURA?
La conservazione della biodiversità è una sfida che si combatte non solo in lontane foreste equatoriali, ma anche nel territorio che ci circonda e nel quale viviamo. Il “Countdown 2010” dell’Unione Europea, è giunto alla scadenza ma, nei fatti, siamo ben lontani dalla fase auspicata di rallentamento del processo di deriva genetica e neppure della perdita di biodiversità e di naturalità su ampi territori. Né si intravedono prospettive ottimistiche, soprattutto per come viene concepita la crescita economica, ancora ampiamente svincolata e troppo spesso in stridente contraddizione con la sua presunta sostenibilità. Tutto viene monetizzato, anche la vita umana e la sua qualità, ma non siamo ancora riusciti a misurare e a rendere neppure lontanamente operativo il valore economico, sociale e culturale delle risorse naturali (acqua, aria, suolo, piante, animali, habitat, paesaggio, ecc.).
Oggi la crisi economica mondiale ha messo in discussione molte certezze, ma le prime risposte, escluse quelle provenienti da oltre oceano (quelle degli USA e comunque da verificare nei fatti), fanno presagire che si tenti di cambiare forma, non la sostanza.
Tra questi obiettivi, la tutela delle specie vegetali e degli habitat minacciati e l’arresto della perdita di biodiversità costituiscono sicuramente delle priorità e non solo per le ricadute negative più o meno dirette (come il degrado del paesaggio), ma anche per le stesse prospettive economiche (basti pensare quante nuove professioni e possibilità di vero sviluppo vengono perse nei settori naturalistico, turistico, culturale e ambientale). Nel nostro territorio italiano, così fortunato anche nella dotazione ambientale, la crisi di molti habitat naturali e la frammentazione delle popolazioni delle specie selvatiche (dovuti all’urbanizzazione selvaggia e all’eccessiva pressione nelle aree agricole produttive, ma anche all’abbandono delle zone montane e marginali) hanno condotto alla scomparsa locale e anche all’estinzione numerose specie vegetali, un tempo comuni (basti ricordare, per le aree agricole, non solo il fiordaliso o il tulipano dei campi, ma anche il più banale papavero) e di grande importanza biologica, insieme a un imprecisato numero di specie animali, delle quali (come accade per molti insetti) spesso non ne supponiamo neppure l’esistenza.
IL MONDO E’ CAMBIATO, LA POLITICA NO!
L’interesse verso le piante, grazie anche alla riscoperta ed al recupero di usi e tradizioni popolari, è negli ultimi anni costantemente cresciuto nell’opinione pubblica, ma a questo fenomeno non è corrisposto un aumento dell’attenzione, se non di tipo epidermico, da parte della politica e di molti settori applicativi e tecnici della società, compresi gli operatori dell’informazione.
In una situazione come quella attuale caratterizzata da una lenta ma progressiva presa di coscienza della necessità di rivedere profondamente il concetto di “progresso economico” e di “qualità della vita”, dell’importanza di conservare la biodiversità (Direttiva Habitat e Countdown 2010, solo per ricordare gli impegni da parte dell’Unione Europea), la necessità dal punto di vista scientifico e tecnico di affrontare i problemi in modo complessivo, in modo da superare la visione settoriale (che porta spesso a scelte profondamente sbagliate) e che permettano di tenere conto della complessità dei sistemi ambientali, il tentativo di superare la difficoltà di dialogo tra politici, ricercatori, responsabili di settore delle amministrazioni pubbliche e i diversi tecnici che si occupano di problematiche ambientali (fiumi e bacini idrici, strade, turismo, agricoltura, protezione civile, ecc.), risulta veramente incomprensibile e anacronistica la scelta delle Provincia di Ancona di puntare su un progetto in aperta contraddizione con tutti gli obiettivi generali di sostenibilità ambientale e di corretta gestione del territorio.
Ci sono sempre più agricoltori che utilizzano erbicidi in modo irresponsabile anche al di fuori delle aree coltivate, ma anche semplici cittadini che irrorano le fasce erbose con diserbanti per evitare lo sviluppo della vegetazione spontanea senza valutare minimamente gli effetti negativi sulla perdita di biodiversità, di maturità, di stabilità e di funzionalità, oltre che sulla stabilità del terreno. La pratica del diserbo, erroneamente considerata una alternativa allo sfalcio, viene ora proposta dall’Amministrazione Provinciale di Ancona per il “decoro” delle strade pubbliche e con la inconsistente scusa di combattere le allergie da polline (ben sapendo che, una volta effettuato il primo trattamento, si sarà costretti a continuare anche negli anni successivi per evitare la proliferazione delle erbe più aggressive, libere di espandersi in seguito alla scomparsa della vegetazione che presidiava il terreno).
Margini stradali (tutt’altro che decorosi) presso la Selva di Castelfidardo (Marzo 2009) | © Fabio Taffetani
Esempio di strada con fioritura di ranuncoli, semplicemente trattata con lo sfalcio, all’interno del Parco del Conero (Marzo 2009) | © Fabio Taffetani
Situazioni così manifestamente assurde si verificano a causa dell’assurdo e irrazionale modo di intervenire nelle complesse problematiche ambientali senza una adeguata preparazione, con criteri angusti e obiettivi estremamente limitati, oltre che in un contesto culturale dove la condizione naturale è quella che appare come disordinata e meno attraente, mentre quella artificiale viene considerata, anche dal grande pubblico e dagli organi di informazione, come ordinata e rassicurante.
GLI HABITAT
I margini stradali vengono trattati come si trattasse di situazioni uniformi e ripetitive. In realtà le strade, soprattutto quelle di interesse provinciale e locale, attraversano ambienti assai diversi e toccano numerosi habitat, spesso di grande interesse, anche per il semplice fatto che in tutta la fascia collinare, dominata dall’agricoltura industriale e dagli insediamenti urbanizzati, gran parte della biodiversità è ormai rimasta concentrata lungo la viabilità e lungo i fiumi.
Parete calcarea con fioritura di ombrellini pugliesi (Tordylium apulum) sulla provinciale del Conero (Aprile 2010) | © Fabio Taffetani
Ambienti umidi con popolamenti di farfaraccio (Petasites hybridus) sul fondovalle del Boranico (affluente dell’Aspio) lungo la strada che da Camerano scende all’acquedotto e poi risale verso il Conero, (Aprile 2010) | © Fabio Taffetani
SFALCIO E DISERBO NON SONO PRATICHE ALTERNATIVE
Non esiste una alternativa sfalcio-diserbo in quanto si tratta di due modalità di intervento che hanno finalità, procedure e risultati completamente diversi e che vanno utilizzate in situazioni e con obiettivi profondamente diversi.
Lo sfalcio permette di controllare la rigogliosità della copertura erbosa dei prati (sia quelli del verde urbano, che quelli delle praterie secondarie della fascia collinare e montana), delle aree non coltivate, delle aie e dei margini erbosi stradali favorendo le piante perenni (prevalentemente emicriptofite) e che tendono a coprire uniformemente il terreno e a maturare arricchendosi di altre specie e mantenendo stabilmente la copertura (e la protezione) del terreno. Rappresentano cioè la migliore protezione del terreno sia dall’erosione che dall’ingresso delle erbe annuali e aggressive. Le cenosi che si sono adeguate alle condizioni locali e strutturate compenetrandosi, anche negli apparati radicali, dopo decine di anni di gestione attraverso lo sfalcio, nelle fasi di maturità raggiungono una omeostasi che permette loro di mantenere uno stadio di stabilità che può tollerare lunghi intervalli di tempo (anche di qualche anno) tra un intervento di taglio e quello successivo.
Il diserbo, pratica che è nata e dovrebbe rimanere limitata agli stretti terreni coltivati, serve a eliminare la competizione delle specie spontanee con le piante coltivate, e determina, quando viene utilizzata in modo improprio e su grandi superfici della componente erbacea delle scarpate stradali, un immediato azzeramento della maturità raggiunta e della complessità delle cenosi vegetali gradualmente maturate, selezionate ed adattate dopo diverse decine di anni (dai 30 ai 50) di pratiche gestionali corrette.
Margini stradali (tutt’altro che decorosi) presso Camerano (Aprile 2010) dove sono già stati effettuati sia il diserbo che lo sfalcio | © Fabio Taffetani
Esempio di strada con fioritura di radicchiella (Hyoseris radiata), lungo la provinciale all’interno del Parco del Conero (Aprile 2010), a rischio diserbo, ma che oltre ad essere particolarmente gradevole ha “il difetto” di ridurre naturalmente lo sviluppo vegetativo della comunità vegetale! | © Fabio Taffetani
NESSUN VANTAGGIO
E’ bene chiarire che il diserbo dei bordi stradali, rispetto al tradizionale intervento di sfalcio, non presenta nessun vantaggio:
– l’aspetto dei bordi trattati è oltremodo sgradevole dal punto di vista estetico (FOTO);
– non limita in alcun modo il numero degli interventi in quanto non elimina la necessità delle operazioni di sfalcio;
Effetti degli interventi di diserbo: lungo la strada Pianello di Jesi, Poggio San Marcello, una delle prime ad avere avuto il privilegio di essere inserita tra quelle prescelte per le prove (Marzo 2009) | © Fabio Taffetani
Effetti degli interventi di diserbo: lungo la strada che da località Crocette di Castelfidardo scende verso la Statale Adriatica passando sotto la Selva (Marzo 2009) | © Fabio Taffetani
DANNI DA DISERBO
In compenso il trattamento con fitofarmaci determina numerosi danni diretti e crea le condizioni per effetti negativi anche gravi e a volte non recuperabili:
– non permette alla vegetazione seminaturale di svolgere il ruolo di difesa del terreno ed espone le scarpate stradali all’erosione e agli smottamenti, che nella nostra regione, data l’abbondanza della componente argillosa dei terreni è particolarmente diffuso e grave (FOTO);
Smottamento di una scarpata stradale risultato immediato dell’intervento di diserbo. Si noti come la frana abbia interessato esclusivamente il tratto di scarpata dove era stato realizzato il diserbo (Marzo 2010) | © Fabio Taffetani
Disastrato tratto della strada Provinciale dell’Aspio, presso Polverigi, ormai da anni in frana continua ed inarrestabile (esempio illuminante di tutto ciò che non si dovrebbe fare per evitare un dissesto, che può essere stato determinato solo da completa ignoranza o da cinico calcolo) | © Fabio Taffetani
– arreca danni gravi alla vegetazione, che perde istantaneamente diversi decenni di maturazione accumulati con il tempo, e provoca la scomparsa locale di numerose specie e l’impossibilità, in alcuni casi del ritorno allo stato precedente, neppure dopo l’abbandono della pratica (dopo due o tre interventi in anni successivi si annulla anche la carica dei semi del terreno);
– arreca danni diretti ed indiretti anche alla fauna minore, basti pensare agli effetti sulle popolazioni di carabidi che hanno uno stretto rapporto col terreno e con la qualità della copertura erbacea;
– rende obbligatorio l’intervento anche negli anni successivi, in quanto le fasce denudate se non più trattate vengono invase da poche specie annuali particolarmente vigorose ed aggressive;
– si acquistano attrezzature e prodotti chimici inutili, oltre che dannosi, mentre non si investe nel miglioramento delle conoscenze, della preparazione dei tecnici, oltre che nell’adeguamento dei mezzi e delle tecniche di manutenzione delle scarpate.
– si determina una perdita di maturità degli ecosistemi marginali, con conseguente riduzione della complessità e della funzionalità sia dal punto di vista vegetale che animale; tenendo conto peraltro che in molte aree collinari le strade costituiscono gli ultimi centri di conservazione della biodiversità.
Un esempio chiarificatore: se la Provincia di Pesaro-Urbino dovesse adottare questo assurdo progetto ci sarebbe la concreta possibilità di decretare la scomparsa definitiva di una specie, una delle poche endemiche della nostra regione, la Polygala pisaurensis, che vegeta unicamente proprio sulle scarpate stradali della fascia subcostiera tra Pesaro e Fano.