San Lorenzo Vallegrascia: il tesoro dimenticato, oggi ritrovato

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Particolare della cripta di San Lorenzo Vallegrascia. Ph: Nicola Pezzotta

In una bella valletta ai piedi dei Monti Sibillini, nei pressi di Montemonaco, proprio vicino a dove il fosso della Rota si innesta al fiume Aso, si erge una chiesa che costudisce una delle “opere più significative dell’XI secolo”: San Lorenzo in Vallegrascia.

Vagando lungo queste valli, ci si aspetta, magari, una piccola chiesuola di campagna; invece, considerando il contesto in cui ci troviamo, una zona pedemontana oggi quasi disabitata, siamo di fronte ad un edificio imponente. Costruito in mattoni squadrati di arenaria, quello che colpisce è la sua semplicità e linearità. Anche in questo caso, come avviene spesso, la chiesa che oggi ammiriamo è il risultato di diversi rimaneggiamenti avvenuti nei secoli. Originariamente era molto più piccola e intimistica: più corta e ad una sola navata, culminava con l’abside centrale; al di sotto dell’abside una cripta davvero unica, con capitelli di pregevole fattura.

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San Lorenzo in Vallegrascia.  Ph: Nicola Pezzotta

La collocazione di questa struttura non è casuale. Si trova, infatti, al crocevia di due antichi itinerari di particolare importanza storica e funzionale: la via Francisca e la Via del Grano o Sentiero dei Mietitori.

La prima si sviluppa in direzione Nord/Sud e tocca località come Pian di Pieca, Sarnano, Amandola, Montefortino, Montemonaco fino, appunto ad arrivare a San Lorenzo in Vallegrascia. La seconda si snoda in direzione Est/Ovest e, salendo dal mare, tocca l’abitato di Comunanza, costeggia l’Aso e proprio qui a San Lorenzo in Vallegrascia si ricongiunge con la via Francisca. Insieme risalgono il Fosso della Rota, toccano l’antica chiesa di Santa Maria in Pantano e raggiungono il Passo del Galluccio per poi proseguire o verso Arquata del Tronto o verso Forca di Presta.

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La Via Francisca in blu e la Via del Grano o Sentiero dei Mietitori in rosso. Il punto verde indica il luogo dove si trova la chiesa di San Lorenzo Vallegrascia. (c) Nicola Pezzotta

Questi luoghi, oggi così desolati e decadenti, un tempo erano pieni di vita. Se non fossero gli antichi testi a documentarlo sarebbe quasi assurdo pensarlo. “Nel Medioevo una grande fiumana di gente che andava a Roma e nei porti della Puglia per imbarcarsi in Palestina” percorrevano la via Francisca; questa “fiumana” proveniva addirittura dal cuore pulsante del Sacro Romano Impero, la Germania.

Inoltre nelle piazze dei paesi lungo la Via del Grano, nei periodi della mietitura, quando la richiesta di manodopera specializzata aumentava di molto, si formava un gran capannello di persone: “gruppi di uomini vestiti poveramente, con la loro bisaccia e i volti cotti dal sole” erano in attesa di farsi ingaggiare per il lavoro dei campi. I proprietari terrieri, infatti, la mattina si recavano in piazza proprio per assumerli a svolgere il lavoro nei campi. Questi mietitori “camminavano di notte e mietevano di giorno seguendo il ciclo di maturazione dalle zone basse a quelle alte (l’ultimo grano era quello di Castelluccio sulla via del ritorno)”.

Proprio per questo via vai di persone, la conformazione degli abitati si svilupparono per lo più lungo l’asse viario, connotando in questo modo una loro funzione più mercantile e artigianale che agricola. Il flusso dei traffici era intenso e le abitazioni realizzate in questa maniera erano adatte per le necessità ricettive preposte all’accoglienza e assistenza dei viandanti.

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Via del Grano e Via Francisca, Vallegrascia, Montemonaco (AP). Ph: Nicola Pezzotta

E non solo. Seguendo la via Francisca è facile individuare, soprattutto sugli architravi di porte e finestre i tipici contrassegni degli Ordini dei Cavalieri Templari: le “stelle-rosette”. Infatti i Cavalieri Templari, come quelli degli altri ordini militari, come i Gerosolimitani o i Teutonici, erano anche custodi della viabilità dell’epoca e i loro segni sono individuabili appunto con queste stelle/fiore a cinque/sei/otto petali o raggi.

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Particolare della finestra di un’abitazione di Vallegrascia. Ph: Nicola Pezzotta

Ma le rosa-stella non sono apparse per la prima volta con l’avvento dei Cavalieri Templari. Già in epoca pre-Cristiana erano utilizzate come probabile funzione talismanica, indicando il rigenerarsi e perpetuarsi della vita nella ciclicità della natura. Un esempio è nello scudo del Guerriero Etrusco (di Vetulonia) risalente al VII secolo a.C..

Nelle terre sibilline, invece, la rosa-stella più antica si trova proprio in questa chiesa. La vediamo al centro di una lastra istoriata di dimensioni 1,36 x 2,00 m, posta nella zona del presbiterio sulla destra. Sulla sinistra invece si trova l’altra lastra di dimensioni simili: 1,42 x 1,89. Entrambe hanno uno spessore di 11 cm e sono di arenaria.

Queste lastre sembrerebbero essere antichissime: probabilmente risalgono a prima del 1050. I disegni rappresentati sono portatrici di una storia, di un messaggio. La storia sulla “creazione, sul peccato, sulla redenzione promessa nel Vecchio Testamento e realizzata nel Nuovo”.

La lastra di destra, pesantemente compromessa dal tempo, si legge dal centro dove è presente la croce con i bracci decorati da matasse formate da un nastro a tre vimini poggiante su di un cerchio in cui è iscritto una rosa esapetala. Rappresentano il contatto tra la perfezione trascendente (croce) e la creazione contingente (circonferenza e fiore). Il resto della lastra è molto difficile da decifrare a causa dell’usura. Mario Sensi nel suo articolo riesce anche ad intuire “la creazione di Adamo ed Eva, la costola di Adamo raffigurata come una falce di luna, Adamo fra gli animali, l’albero del bene e del male e una civetta”. Sulla parte superiore della lastra sono presenti gli elementi decorativi come foglie d’acanto, fiori di loto e palmette stilizzati. Questa fascia probabilmente era presente anche nell’altra lastra, ma purtroppo sembra andata irrimediabilmente persa. Come del resto anche in questa lastra manca la parte sottostante.

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Seconda lastra Istoriata all’interno della chiesa di San Lorenzo Vallegrascia. Ph: Nicola Pezzotta

La lastra di sinistra è ancora più affascinante. Sia per il suo stato di conservazione che per i temi trattati. Qui vi devo riportare in pieno le parole del Sensi per farvi capire meglio.

“La lettura di questo secondo testo deve partire dal basso, dal primo registro inferiore dove sono rappresentati i segni della perdizione, iniziando da destra, con l’animale che viene dal mare, simile ad un dragone con tre teste, forse il Leviathan; segue un grifone, altra incarnazione di Satana; il terzo mostro poi, è un mostro con la lingua di fuori, indubbiamente simbolo della libidine. Il secondo registro inferiore ha per tema la promessa della redenzione. La prima figura a sinistra rappresenta Noè intento a costruire l’arca, simbolo della salvezza, concetto che viene evidenziato dalle tre croci volutamente inserite fra gli strumenti di lavoro di Noè. La salvezza, prefigurata dall’arca, sarà realizzata dall’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, e nel riquadro centrale l’agnello è ripetuto due volte, probabilmente a significare la vecchia e la nuova alleanza, e su ambedue campeggia una croce astile sostenuta dalla zampa anteriore sinistra e dalla bocca dello stesso agnello. Il messia appartenne alla casa di David, fu un leoncello della tribù di Giuda, raffigurato nel terzo e quarto riquadro con due corpi per un’unica testa, forse per indicare la natura del Cristo, quella divina e quella umana. Il terzo e quarto registro superiore hanno per tema l’attuazione della redenzione. La prima figura, a destra, rappresenta una donna incinta, Maria, prima di dare alla luce il Messia che nasce nel presepe, raffigurato nel quadro successivo da due animali: a destra l’asino, a sinistra il bue. A queste due scene del quarto registro superiore fa parallelo riscontro, nel registro inferiore, un unico riquadro: al centro il Bambino in fasce, posto però non in una mangiatoia ma in un altare-sepolcro. Ad adorare il Bambino in fasce vanno i pastori, tre perfettamente leggibili, del quarto rimane un tratto della veste e del piede. Ad annunciare l’attuazione della redenzione attraverso la croce due angeli sopra il coperchio della culla sepolcro così il mistero del Natale si fonde con quello della Pasqua. A sinistra un unico riquadro raffigura la crocefissione. L’albero della croce, che poggia sul petto, o meglio sul cuore di Adamo, è rappresentato con una croce tridimensionale, forse per enunciare il mistero dell’Unità e della Trinità di Dio. […] A destra di chi guarda il crocefisso, un soldato offre al Cristo una spugna innestata su una canna; a sinistra, Longinus, il soldato della lancia. [In alto] il personaggio femminile con le mani congiunte, a sinistra del crocefisso, è la Vita; e quello maschile, dai capelli drizzati e armato di falce la Morte. Sovrastano dette figure due animali di difficile lettura”.

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Particolare della cripta di San Lorenzo Vallegrascia. Ph: Nicola Pezzotta

Il ritrovamento di queste lastre avvenne negli anni ’30 in seguito a dei lavori di restauro nella cripta sottostante. Le lastre erano collocate rovesciate proprio di fronte all’altare e utilizzate come gradini. Probabilmente erano appartenute ad una iconostasi, un recinto d’altare, e furono collocate lì sotto dopo i lavori di ampliamento della struttura nel XV secolo. In ogni caso una strana collocazione per due oggetti così particolari. Inoltre sulle lastre ci sono anche delle iscrizioni in parte decifrate dal Sensi che sembra attribuire le opere agli scultori Guitonio e Atto nell’anno 1050 all’incirca.

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Particolare della cripta di San Lorenzo Vallegrascia. Ph: Nicola Pezzotta

Ma la cripta è anch’essa qualcosa di eccezionale. E’ a tre navate, con due ingressi: uno esterno alla chiesa, oggi murato e uno interno. La volta è in travertino (detto anche pietra spugna perché cavernosa) e poggia su due colonne centrali con basamento a quattro pieducci. Ci sono, inoltre, altre sei colonne addossate alle pareti. Ma quello che colpisce di più sono i capitelli di queste colonne. Motivi floreali, animali che si mordono la coda, caproni, teste umane.. non sono temi che si trovano spesso in una chiesa. Qualcuno ipotizza che provengano da una costruzione pre-Cristiana che si trovava proprio dove oggi è collocata la chiesa e forse era dedita ad un culto pagano. Ma senza studi rimangono solo ipotesi.

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Particolare della cripta di San Lorenzo Vallegrascia. Ph: Nicola Pezzotta

La chiesa di San Lorenzo è attualmente in condizioni tutt’altro che confortanti, servirebbe un bel restauro, ma credo che sarà un’utopia vista la situazione in cui verte il nostro paese e per non parlare dei fondi destinati alla cultura! Le lastre rischiano veramente di essere dimenticate e perdute se non si corre ai ripari. Inoltre una scoperta come questa che il Sensi indica come “un unicum non solo nella Regione Marche ma anche nel resto d’Italia” e che “dovrebbe apparire fra le opere più significative del XI secolo” non deve essere lasciata a se stessa. Spero davvero che la comunità accademica le prendano in considerazione prima che sia troppo tardi.

 

Aggiornamento del 20 Febbraio 2014:

Siamo stati contattati da Giuseppe Matteucci, il presidente dell‘Associazione “La Cerqua Sacra”, un esperto conoscitore del territorio dei Monti Sibillini e ci informa di altri particolari e teorie riguardo a questa chiesa e a ciò che rappresentava. 

“- Gli intrecci presenti sui capitelli nella cripta e sulle lastre di arenaria riportano direttamente alla cultura celtica;
– E’ assodato che nella località dove è presente San Lorenzo Vallegrascia, precedentemente al Cristianesimo, c’era un culto pagano. L’immagine caprina dei capitelli nella cripta altro non è che il Dio con le Corna (il celtico Cernunnos);
– Le fate sibilline, ormai tutti lo ammettono, sono donne celtiche vere, senza alette e senza piedi di capra, giunte sui Monti Sibillini dopo la battaglia del Sentino;
– Nella lastra c’è un’immagine molto importante: ci sono due persone in copula e ciò dimostra, che a quell’epoca, Gesù era nato da un atto sessuale vero e proprio e non con l’intervento dello Spirito Santo (a meno che non si voglia ammettere che quello che sta copulando sia lo Spirito Santo;
– il Dio Cernunnos, tra l’altro era il Dio dell’Abbondanza e, guarda caso, la valle si chiama Vallegrascia.”

Grazie mille per il suo contributo!

 

Aggiornamento del 17 Agosto 2016:

Ci ha contattato un appassionato di cultura “sibillina”, Michele Natali, che vuole dire la sua riguardo le “misteriose” figure presenti all’interno della chiesa di San Lorenzo Vallegrascia. E’ interessante la sua ipotesi perché, prima di tutto è un altro punto di vista, e seconda cosa perché la vediamo più aderente alla nostra storia conosciuta.

“Vorrei fare, ad onor del vero e della corretta informazione, delle precisazioni su quanto esposto da Giuseppe Matteucci e riportato a fine capitolo, onde evitare di dare notizie totalmente errate ai curiosi lettori:

– Gli intrecci di cui parla, scolpiti tutt’attorno ai capitelli, in alto, sopra le varie figure rappresentate, non sono da ricondurre con filo diretto alla cultura celtica, ma sono abbellimenti tipici dell’arte medievale del tempo. Gli stessi intrecci denominati comunemente (ma erroneamente) nodi celtici, in realtà, venivano usati anche in epoca romana (soprattutto per decorazioni a mosaico dei pavimenti delle ville) e poi nel periodo paleocristiano, soprattutto nell’arte copta. La nascita di questi intrecci effettivamente è stata fatta risalire al territorio irlandese e alle popolazioni celtiche, la prima diffusione in Europa è avvenuta tramite la conquista romana. Tali abbellimenti comunque hanno avuto il loro massimo sviluppo e diffusione durante i primi secoli del cristianesimo dove sono entrati a far parte dell’architettura della chiesa cristiana anglosassone per poi diffondersi così ulteriormente in territorio europeo nel periodo medievale. In sostanza, quegli intrecci non indicano un culto celtico a San Lorenzo in Vallegrascia, ma semplicemente che le decorazioni hanno seguito lo stile dell’epoca. (C’è da dire che comunque rappresentazioni di intrecci, come il “Nodo di Salomone” sono comuni a più culture indipendenti fra loro anche in epoca primitiva ed in più parti del mondo, compreso Medio Oriente ed Asia orientale).

– Sicuramente nella zona di San Lorenzo, anticamente, vi era un culto pagano, ma quello non è da ricondurre al paganesimo celtico, bensì alle civiltà Picena prima e Romana poi. Quello che il sig. Matteucci identifica erroneamente come il dio celtico Cernunnos (che fra l’altro ha corna di cervo e non ovine) è in realtà un semplice ariete o montone, simbolo cristiano molto utilizzato soprattutto in epoca paleocristiana e per tutto il medioevo in varie sculture o dipinti. (Non è assolutamente da associare alla figura caprina oggi identificata col demonio, basti pensare che l’ariete appare spesso anche nella bibbia, come ad esempio quando Abramo sacrifica l’ariete al posto del figlio Isacco).

– La frase sulle fate sibilline che erano donne vere e celtiche, che il Sig. Matteucci millanta come dato assodato e confermato pubblicamente, in realtà è solo una sua congettura e di pochi altri che probabilmente si sono lasciati influenzare da questa suggestiva idea che però non ha alcun minimo riscontro con fatti o prove. Tanto è vero che le nostre fate sono ben diverse dalle fairy inglesi e celtiche. Le nostre hanno aspetto di donne con proporzioni umane e sono tipiche della cultura italica (basti pensare alla famosa Fata Turchina di Collodi). Le fairy del folklore celtico invece sono piccoli spiritelli con le alette (ad esempio come Campanellino o Trilly che dir si voglia di Peter Pan).

– La lastra dove sono raffigurate due persone che copulano rappresenta alcune scene non ancora decifrate ma si suppone che anche queste, similmente all’altra lastra, riportino alcune scene bibliche. L’unica scena lì raffigurata e quasi accertata è quella che sembra rappresentare la creazione di Eva dalla costola di Adamo (sulla destra della lastra). L’immagine della copula (in basso al centro leggermente sulla sinistra) probabilmente si riferisce ad un altro episodio biblico (nella bibbia ve ne sono molti) di difficile identificazione visto il rovinoso stato in cui verte suddetta lastra. Tutta la congettura che l’immagine rappresenti il concepimento di Gesù avvenuto in maniera canonica e non con lo Spirito Santo è solamente un’opinione (a mio avviso forzata e demotivata). Fra l’altro, riallacciandosi al discorso dei capitelli (che il sig. Matteucci fa intendere derivino da un culto pagano pre-cristiano), in realtà essi con molta probabilità sono stati realizzati dagli stessi Guitonio e Atto sempre in epoca medievale e intorno all’anno mille quando hanno realizzato anche le due lastre, infatti sempre sulla lastra dove vi sono i due che copulano vi sono gli stessi intrecci rappresentati sopra i capitelli e vi è anche la stessa figura del mostro che si morde la coda (in basso a sinistra) presente su alcune colonne. Insomma, tutte le opere sono state fatte dalla stessa mano che, secondo gli studi fatti, è da ricollegare a Guitonio e Atto intorno poco dopo l’anno mille.

Seconda lastra

Prima lastra istoriata all’interno della chiesa di San Lorenzo Vallegrascia. Ph: Nicola Pezzotta

– Il termine Vallegrascia deriva dal fatto che lì vi passava una delle vie per svalicare i Sibillini ed andare dall’altra parte dell’appennino verso Roma, percorso chiamato sentiero dei mietitori o via del grano. Il grano appunto era detto “grascia”. Il termine quindi non ha nulla a che fare con il dio Cernunnos che da quelle parti nessuno l’ha mai visto!

 

Aggiornamento dell’8 Novembre 2017:

Da fine Agosto 2016 a fine Gennaio2017 numerosi devastanti terremoti hanno colpito il centro Italia e soprattutto l’area dei Sibillini. Purtroppo anche la Chiesa di San Lorenzo Vallegrascia ha subito notevoli danni, anche perché non se la passava neanche tanto bene già prima del terremoto. La struttura è in piedi ed esternamente non si vedono lesioni imporanti. All’interno invece la situazione è molto diversa e per questo è stata dichiarata inagibile.

L’evento tragico però ha smosso le acque e riportato all’attenzione l’importanza delle lastre da tanti anni lì presenti e lasciate quasi all’oblio, in quell’angolo nascosto della chiesa. Grazie all’intervento dei Vigili del Fuoco a Gennaio 2017 sono state estratte dalla Chiesa e portate al Museo di Arte Sacra di Montemonaco facente parte dei Musei Sistini del Piceno, Ex Chiesa di San Biagio, Via Italia, Montemonaco (AP). Qui potete trovare informazioni riguardo al museo: Museo Arte Sacra Montemonaco.

Finalmente una collocazione che valorizza le lastre in maniera più adeguata!

Lastra I di San Lorenzo Vallegrascia

Lastra II di San Lorenzo Vallegrascia

Le bellissime lastre di San Lorenzo Vallegrascia nella nuova collocazione. Ph: Nicola Pezzotta

 

Fonti:

Monti Sibillini, le più belle escursioni – Alesi, Calibani – Società Editrice Ricerche – 2013.
L’antro della Sibilla e le sue Sette Sorelle – Giuliana Poli – Edizioni Controcorrente – 2008.
Le terre della Sibilla Appenninica, antico crocevia di idee scienze e cultura – AA.VV. – Editrice Miriamica – 1999.
“Due lastre istoriate a Montemonaco firmate dai maestri scultori Guitonio e Atto”, Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte, III Serie, Anni VI-VII, 1983-1984 – Mario Sensi – pp.221-236 – 1984.

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